<

Difficoltà: escursionisti esperti

Il Mont Cormet 3024 m

Dal Col San Carlo (piazzale del bar La Genzianella)

CLICK QUI PER LA MAPPA STRADALE CLICK QUI PER LA MAPPA DEL SENTIERO

partenza: 1940 m
arrivo: 3024 m
dislivello in salita: 1100 m circa

andata: 4h00
ritorno: 2h30
totale: 6h30

Segnavia: 16 15

Tratti difficili: si
Tratti esposti: si

Ombra: parziale

pericolo caduta massi: si

Periodo consigliato: da giugno alle prime nevi

Da vedere: i resti delle fortificazioni, il panorama sul Monte Bianco.

Itinerari collegati:
lago d'Arpy,
fortezza verso il lago d'Arpy.

Accesso al punto di partenza:

Uscita autostradale: Morgex
Distanza dal casello autostradale: 11.9 km
Avvicinamento in auto dal casello autostradale: 20 minuti

Distanza progressiva

Tempo

Indicazioni

Lunghezza tratto

0 km 0h00 Dall'uscita autostradale di Morgex si gira a sinistra sulla statale 26 in direzione del tunnel del Monte Bianco 0.600 km
0.600 km - A sinistra seguendo le indicazioni per Arpy e Col San Carlo 0.900 km
1.500 km - A sinistra sulla strada regionale del Col San Carlo 10.400 km
11.900 km 0h20 Arrivo al parcheggio del bar La Genzianella -
Bivio

Introduzione

Bellissima passeggiata lungo una vecchia strada militare, fino al Colle della Croce da cui si gode di un eccezionale panorama su tutto il massiccio del Monte Bianco e sulla valle che sale al Piccolo San Bernardo. Dai ruderi delle fortificazioni inizia il sentiero militare che percorreva tutta la cresta fino al Mont Cormet. Alcune parti crollate richiedono particolare prudenza e l'uso delle mani durante l'ascesa. Si consiglia il rientro passando dai laghi di Pietra Rossa e d'Arpy e la visita alla fortezza che si trova sotto la strada che porta al lago d'Arpy.

Ceppo

Descrizione

Dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio vicino al bar La Genzianella ci si avvia seguendo il segnavia numero 15 per il lago d'Arpy lungo la pista forestale che si inoltra nel bosco di conifere in direzione sud-ovest. Dopo pochi minuti di cammino si arriva ad un rettilineo a metà del quale sulla sinistra si nota un breve steccato di legno che separa la strada per il lago d'Arpy dall'ingresso della fortezza sotteranea scavata nei primi anni della seconda guerra mondiale.

Si prosegue fino a raggiungere la biforcazione dove inizia sulla destra la strada militare che porta al Colle della Croce. La strada è larga un paio di metri e si inoltra quasi in piano in un bosco di larici poco fitto che lasciano ampio spazio alla prateria alpina. Qua e là alcuni abeti spiaccano tra il verdolino chiaro dei larici grazie al loro colore più scuro. Prendendo quota la strada si stringe leggermente e in rari punti, a causa della caduta di massi, si riduce ad un paio di spanne di larghezza. Per la maggior parte della salita conserva la larghezza originaria di circa un metro e mezzo e la pendenza a volte è così ridotta da sembrare quasi in piano. Uscendo dal bosco si perde l'ombra del bosco ma dalle cime dei larici spuntano i ghiacciai che striano le ripide rocce del Monte Bianco e ai lati del sentiero si cominciano a vedere i primi fiori rosa degli epilobi.

Arrivando al Colle della Croce

Si salgono i fianchi della dorsale sassosa che separa il vallone d'Arpy dalla valle che sale al Piccolo San Bernardo incontrando alcuni vecchi esemplari di pino cembro, chiamati arolle in dialetto valdostano. A poche decine di metri dall'unico bivio che si trova prima del colle, e dove si prosegue sul il sentiero di sinistra, si trova un enorme ceppo di 80 cm di diametro posto proprio sul bordo del sentiero: l'ultima traccia di un albero che fu monumentale. Proseguendo lungo la strada militare, a tratti sostenuta da alcuni muri in pietra a secco, si raggiunge un vastissimo pendio, ripido e cosparso di grandi pietre cadute dal costone, che con il passar del tempo è stato colonizzato dagli arbusti tipici dell'alta montagna. Ginepri e rododendri hanno tappezzato ogni spazio tra un masso e l'altro lasciando solo alcuni angoli, uno dei quali a fianco della mulattiera, alla splendida fioritura della rosa alpina.

Trincea al Colle della Croce

Lentamente appare la sella del Colle della Croce . Alla sua sinistra si allineano l'una dietro l'altra le montagne tozze e senza nome che portano all'antecima che nasconde il Mont Cormet. Sulla destra si comincia a vedere il lungo muro delle fortificazioni costruite sullo spartiacque e praticamente in piano si arriva prima alle rovine del Ricovero Brunet, presso il quale parte il sentiero che scende al lago d'Arpy, e poi alle fortificazioni del Colle della Croce.

Dal Colle della Croce si domina l'abitato di La Thuile e a metà strada tra il paese ed il colle si vedono sulla sinistra i resti delle fortificazioni intitolate al Cap. Sandino. L'intero spartiacque è coronato da un muro in pietra a secco di spessore minimo pari ad un metro. Oltre il muro brillano i ghiacciai della catena del Monte Bianco che si vede nella sua interezza, dalla cima principale alle Grandes Jorasses, al Mont Dolent. Sulla sinistra del colle era ricavata una postazione con l'entrata sul lato est e protetta da due fossati che permetteva di sparare sia sul ripido crinale che sale da La Thuile che direttamente sul colle. Al riparo dagli sguardi nemici, poco sotto il valico, erano state costuite le due casermette per la guarnigione, ora in rovina. In quella a quota più elevata sono ancora visibili i resti della cucina.

Tratto franato

Dalla postazione fortificata eretta sul lato sud del Colle della Croce parte il sentiero militare che percorre tutta la cresta fino al Mont Cormet. Dopo aver attraversato le rovine della batteria si prosegue salendo alle spalle dalla fortificazione fino ad arrivare ad un tratto in piano. Qui si lascia il sentiero principale e si percorre a zig-zag il ripido pendio erboso seguendo una traccia che porta ben presto al primo di una serie di ometti.

Si prosegue attraversando una fascia rocciosa al termine della quale si ritrova il tracciato del vecchio sentiero, in alcuni punti crollato. Proprio ai piedi una parete il muro di sostegno a valle ha ceduto e anche la corda di sicurezza è stata strappata, occorre perciò abbassarsi e posare le mani a terra per superare il punto più pericoloso dell’intero itinerario. Raggiunta la sommità di uno dei tanti rilievi della cresta si passa a fianco di un pilastino in cemento sormontato da un'asta in ferro alle spalle del quale si può ammirare tutta la catena del Monte Bianco. Seguono una cinquantina di metri di sentiero adagiati sul crinale erboso poi si raggiunge un bivio.

Corde

Si percorre il sentiero di sinistra che in leggera discesa taglia il versante verso il lago d'Arpy, poi si ritorna sul filo della cresta per percorrere una decina di metri di sentiero estremamente esposto sostenuto da alcuni muri a secco abbarbicati alla roccia che in questo punto è poco meno che verticale. Il tratto è stato attrezzato con alcuni cavi d'acciaio per dare un poco di sicurezza agli esursionisti che transitano su questi sassi che sembrano in equilibrio precario. Il comune di Morgex ha fatto apporrre un cartello che definisce il sentiero alpinistico avvisiando che chi lo percorre lo fa a proprio rischio e pericolo.

Si percorre un altro tratto esposto, questa volta sul versante di La Thuile, poi si attraversa un colletto e si entra in una pietraia formatata da grossi macigni dalla quale si vede per la prima volta il lago di Pietra Rossa . Dopo un lungo traverso all'interno della pietraia nella quale si trovano tracce del vecchio sentiero si arriva al ricovero intitolato al tenente Ticchioni dal quale di vede un pezzo del ghiacciaio del Ruitor e sulla destra la cima della Grand Assaly. Si supera la sella a quota 2778 poi si prosegue fino a trovare, appoggiato sulle rocce, un piccolo asse di legno scanalato che serviva probabilmente da rastrelliera per i fucili.

Ricovero Ticchioni

Da questo punto si percorrono una quindicina di metri sulla destra, in piano, poi ci si arrampica per circa tre metri su una placca molto coricata e non presenta particolare difficoltà. Si ritrova il sentiero, il lago di Pietra Rossa è nascosto dall'ultimo risalto ma si vede in fondovalle quello d'Arpy. Raggiunta l'antecima dalla quale si domina la valle sospesa percorsa dal ghiacciaio che scendeva da Mont Cormet riappare il lago di Pietra Rossa e scompare quello d'Arpy. Si scendono poche decine di metri di dislivello fino ad arrivare al ricovero intitolato al tenente Chabloz , una struttura in assi di legno a doppia camera rivestita in pietra con il tetto ancora in piedi ma ormai privo di copertura. Dopo aver attraversato tutta la sella si sale sulla vetta senza difficoltà. Dalla croce appare tutto lo splendido ghiaccio del Ruitor dal quale spuntano solo le due cime delle Vedette del Ruitor. Sulla destra, ai bordi del grande bacino glaciale la Grand Assaly.

Chi lo desidera può rientrare alla partenza scendendo fino al lago di Pietra Rossa, da questo al Lago d'Arpy e poi lungo la strada sterrata si rientra al Colle San Carlo.

Lago di Pietra Rossa

Due le opzioni possibili: o da sotto la vetta del Mont Cormet si scende in diagonale su sfasciumi fino ad incontrare gli ometti lungo la traccia che dal Col Cormet scende fino ai bordi del Lago di Pietra Rossa, e si percorre tutta la vecchia morena, oppure si torna al ricovero Chabloz e si scende nel vallone che si confluisce nella vallata principale a pochi minuti dal lago.

Qualche appunto di storia delle fortificazioni

Fino alla metà del 1800 le artiglierie erano ancora a canna liscia e ad avancarica, i cannoni più potenti riuscivano a sparare le palle a una distanza massima di quattro chilometri e la loro forza di penetrazione era di circa 3.60 metri nella terra.

Con la comparsa dei cannoni a canna rigata nel 1859, si modificò la forma dei proiettili che diventarono ogivali, raddoppiò la gittata e si introdusse il sistema a retrocarica che rendeva più veloce il tiro rendendo di colpo obsolete le vecchie fortezze.

Interno ricovero Chabloz

Dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) i rapporti diplomatici con la Francia si raffreddarono alquanto e divenne urgente il rafforzamento delle difese della frontiera occidentale. La stipula della triplice alleanza tra Italia Germania e Austria nel 1882 accelerò ancor di più l'attività fortificatoria lungo la frontiera con la Francia. Quello stesso anno entrò in servizio il cannone 149 G che raggiungeva una gittata di otto chilometri con proiettili da 40 kg di peso.

Le fortificazioni si trasformarono; abbandonate le murature di pietre e mattoni, l'artiglieria si schierò all'aperto nelle batterie di protezione che erano caratterizzate da un terrapieno spesso dagli 8 ai 12 metri e nelle batterie semipermanenti, più piccole, che ospitavano non più di quattro pezzi. Le truppe alloggiavano nelle caserme difensive dotate di feritoie per i fucilieri, da utilizzarsi come punti di prima difesa.

Nel 1885 con l'invenzione delle granate torpedini, dei proiettili caricati con esplosivi ad alto potenziale, e del tiro a shrapnel, proiettili caricati a mitraglia che esplodevano a mezza'aria colpendo i serventi , le vecchie protezioni furono sostituite da batterie corazzate infossate nel terreno per ridurne la vulnerabilità.

Esterno ricovero Chabloz

Durante la prima guerra mondiale l'impiego dei mortai da 280 e da 420 mm mise in luce i limiti delle batterie corazzate che vennero sostituite dopo il 1931 dalle nuove fortificazioni ispirate a quelle della Linea Maginot: la fortezze erano scavate nella roccia da cui emergevano solo le postazioni di combattimento, i malloppi, che erano completamente rivestite di cemento armato e spesso blindate all'interno. Erano armate di mitragliatrici, cannoni anticarro o cannoni che raggiungevano i 10 km di gittata.

L'utilizzo della carica cava, usata dai tedeschi nella conquista della fortezza belga di Eben Emael, ebbe ragione anche di questo tipo di fortificazione. La carica cava è costruita in modo da dirigere tutta la potenza dell'esplosione in un unico punto e riesce così a forare anche la corazza più resistente. Nel 1940 con un peso di 12.5 o 50 kg tali ordigni riuscivano a perforare corazze di 12 o 25 centimetri di spessore. Nel 1942 venne messo a punto un particolare proiettile che riusciva a bucare quattro metri di cemento armato prima di esplodere.

All'avvicinarsi della seconda guerra mondiale la linea fortificata italiana, il vallo alpino, era ancora lungi dall'essere terminata. Nel 1938 si misero in cantiere le opere tipo 7000, che presero il nome dal numero della circolare che ne illustrava le caratteristiche. Erano piccole casematte che ospitavano un paio di mitragliatrici o raramente un cannone anticarro, le loro feritoie erano protette da una piastra metallica annegata nel calcestruzzo che a volte superava i due metri si spessore.

A queste si aggiunsero nel 1940 le opere tipo 15.000 che avrebbero dovuto essere ben più estese ed in grado di sostenere attacchi prolungati. All'entrata in guerra dell'Italia, nel giugno 1940, nessuna era ancora completata, i lavori proseguirono fino al 1942 quando vennero definitivamente abbandonati.

Con il trattato di pace del 1947 numerose opere vennero annesse alla Francia grazie alle rettifiche del confine, delle altre era prevista “La distruzione ... nel limite di 20 chilometri da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente Trattato” che doveva essere “completata entro un anno dall'entrata in vigore del Trattato”.

Bibliografia:

Luca Zavatta, Le valli del Monte Bianco, L’Escursionista Editore, Rimini 2004
Dario Gariglio e Mauro Minola, Le fortezze delle Alpi occidentali, ed. l'Arciere, 1994

Cartografia:

L’Escursionista Editore – Carta dei sentieri 2 – scala 1:25.000
Istituto Geografico Centrale – Foglio 4 – scala 1:50000
Comunità Montana Valdigne Mont Blanc – I sentieri – scala 1:50.000

PAGINA ANTE 22.07.2006
ULTIMO AGGIORNAMENTO 11.01.2013

Valid XHTML 1.0 Strict

Licenza Creative Commons
Quest'opera di Gian Mario Navillod è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.

www.andre.navillod.it - escursioni e passeggiate guidate sui sentieri della Valle d'Aosta