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Distanza progressiva | Tempo | Indicazioni | Lunghezza tratto |
0 km | 0h00 | Dall'uscita autostradale di Morgex si gira a sinistra sulla statale 26 in direzione del tunnel del Monte Bianco | 0.600 km |
0.600 km | - | A sinistra seguendo le indicazioni per Arpy e Col San Carlo | 0.900 km |
1.500 km | - | A sinistra sulla strada regionale del Col San Carlo | 10.400 km |
11.900 km | 0h20 | Arrivo al parcheggio del bar La Genzianella | - |
Sotto il Belvedere d'Arpy era prevista una fortezza che a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale non venne mai terminata.
Dai cinque ingressi rimasti a livello di scavo e perciò soggetti a possibili crolli si accede alla galleria centrale ad anello che collegava i due versanti della Testa d'Arpy.
Nella parte più interna i lavori giunsero ad uno stato più avanzato: sono pressochè terminati i pavimenti i muri e i soffitti a volta, le parti periferiche incomplete sono altrettanto interessanti da visitare perchè danno un'idea dei procedimenti costruttivi utilizzati nelle fortezze italiane alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio vicino al bar La Genzianella ci si avvia lungo la strada sterrata che porta all'area pic-nic. Si passa vicino alla vecchia caserma che ospitava la guarnigione di difesa del Col San Carlo alle cui spalle di trova un bunker fatto saltare e si prosegue nella bosco di conifere lungo la vecchia strada militare che percorre tutto lo spartiacque tra il vallone d'Arpy e la valle che sale al Piccolo San Bernardo.
La pendenza è veramente modesta e tutto il percorso si svolge in all'interno di una macchia di larici inframezzati da abeti, nel sottobosco vi sono cespugli di rododendro e piante di mirtillo. A circa metà strada si arriva al bivio che porta ai ripetitori oltre i quali si trovano alcuni sbancamenti predisposti per opere di difesa mai eseguite.
Si prosegue diritti seguendo le indicazioni per il Belvedere e poco più avanti sulla destra si incontra una curiosa fontana. La vasca è quella tradizionale utilizzata in montagna e consiste in un tronco di larice scavato e adagiato a terra, la bocchetta da cui fuoriesce l'acqua è stata fatta passare all'interno di un larice ancora vivo che lentamente la sta inglobando nei suoi anelli di crescita.
Quasi al termine dell'itinerario si raggiunge una bella casa a tre piani circondata dal bosco e fatte poche decine di metri di leggera salita si arriva in vetta alla Testa d'Arpy. Sulla sua cima è stata posata una croce in legno a ricordo dei caduti nelle ultime due guerre.
Scendendo sul versante est si raggiunge il Belvedere su Courmayeur e il massiccio del Monte Bianco. Percorrendo l'altro lato parte si passa davanti ad una costruzione massiccia di proprietà privata poi ai tre fori d'entrata alla fortezza sotterranea.
Non essendo stati completati i lavori i rischi di crolli nelle gallerie non sono da sottovalutare, chi vi accede lo fa a suo rischio e pericolo.
La parte centrale è composta da una galleria ad anello larga circa quattro metri e rivestita da calcestruzzo su cui si innestano i corridoi che avrebbero dovuto condurre ai malloppi verso il Piccolo San Bernardo. Sull'altro lato della cresta si trovano gli scavi per i due ingressi gemelli mai completati.
Questi corridoi sono ancora in massima parte a livello di scavi, alcuni sono stati minati. In alcuni tratti è era stato completato il pavimento e s'era cominciato a costruire muri perimetrali interrotti a poco meno di un metro di altezza.
Visitare questo cantiere abbandonato durante la seconda guerra mondiale è una buona occasione per capire le tecniche utilizzate nella costruzione di questi bunker. Ai piedi della pietraia che scende dall'ingresso centrale dal alto del vallone d'Arpy si trovano due portali appaiati larghi circa un metro e mezzo e alti due probabilmente usati come basamento della teleferica impiegata nella costuzione delle fortificazioni.
La caserma della Testa d'Arpy, ricovero per una compagnia e servizi diversi.
Da una tavola in sala 1:200, datata 19 febbraio 1915 e pubblicata nel 1996 (1) risulta che la caserma ospitava al piano terreno, procedendo da destra verso sinistra, la sala convegno caporali e soldati, la scala per l'alloggio ufficiali, la latrina sottufficiali, il corridoio che separava la camera dei marescialli da quella dei sottufficiali, 4 camere di dormitorio per la truppa, le latrine, il lavatoio, la scala per la truppa, il corridoio che disimpegnava la cucina dal magazzino viveri e sul retro i magazzini e la scala per l'infermeria.
Al piano primo, procedendo da sinistra verso destra, si trovavano l'infermeria, la relativa latrina e la sala visite mediche, l'ufficio e il magazzino di compagnia con quattro camerate lavatoio e latrina, un corridoio che separava la cucina e la mensa ufficiali da una delle camere ufficiali e intorno alla scala di destra la latrina e 4 camere per ufficiali.
Tutta l'area delle fortificazioni è censita a catasto al foglio 48 del comune di Morgex, la caserma al n. 153, il belvedere d'Arpy è compreso nel vastissimo mappale 155.
Fino alla metà del 1800 le artiglierie erano ancora a canna liscia e ad avancarica, i cannoni più potenti riuscivano a sparare le palle a una distanza massima di quattro chilometri e la loro forza di penetrazione era di circa 3.60 metri nella terra.
Casa nei pressi dellaTesta d'Arpy
Con la comparsa dei cannoni a canna rigata nel 1859, si modificò la forma dei proiettili che diventarono ogivali, raddoppiò la gittata e si introdusse il sistema a retrocarica che rendeva più veloce il tiro rendendo di colpo obsolete le vecchie fortezze.
Dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) i rapporti diplomatici con la Francia si raffreddarono alquanto e divenne urgente il rafforzamento delle difese della frontiera occidentale. La stipula della triplice alleanza tra Italia Germania e Austria nel 1882 accelerò ancor di più l'attività fortificatoria lungo la frontiera con la Francia. Quello stesso anno entrò in servizio il cannone 149 G che raggiungeva una gittata di otto chilometri con proiettili da 40 kg di peso.
Le fortificazioni si trasformarono; abbandonate le murature di pietre e mattoni, l'artiglieria si schierò all'aperto nelle batterie di protezione che erano caratterizzate da un terrapieno spesso dagli 8 ai 12 metri e nelle batterie semipermanenti, più piccole, che ospitavano non più di quattro pezzi. Le truppe alloggiavano nelle caserme difensive dotate di feritoie per i fucilieri, da utilizzarsi come punti di prima difesa.
Nel 1885 con l'invenzione delle granate torpedini, dei proiettili caricati con esplosivi ad alto potenziale, e del tiro a shrapnel, proiettili caricati a mitraglia che esplodevano a mezza'aria colpendo i serventi , le vecchie protezioni furono sostituite da batterie corazzate infossate nel terreno per ridurne la vulnerabilità.
Durante la prima guerra mondiale l'impiego dei mortai da 280 e da 420 mm mise in luce i limiti delle batterie corazzate che vennero sostituite dopo il 1931 dalle nuove fortificazioni ispirate a quelle della Linea Maginot: la fortezze erano scavate nella roccia da cui emergevano solo le postazioni di combattimento, i malloppi, che erano completamente rivestite di cemento armato e spesso blindate all'interno. Erano armate di mitragliatrici, cannoni anticarro o cannoni che raggiungevano i 10 km di gittata.
L'utilizzo della carica cava, usata dai tedeschi nella conquista della fortezza belga di Eben Emael, ebbe ragione anche di questo tipo di fortificazione. La carica cava è costruita in modo da dirigere tutta la potenza dell'esplosione in un unico punto e riesce così a forare anche la corazza più resistente. Nel 1940 con un peso di 12.5 o 50 kg tali ordigni riuscivano a perforare corazze di 12 o 25 centimetri di spessore. Nel 1942 venne messo a punto un particolare proiettile che riusciva a bucare quattro metri di cemento armato prima di esplodere.
All'avvicinarsi della seconda guerra mondiale la linea fortificata italiana, il vallo alpino, era ancora lungi dall'essere terminata. Nel 1938 si misero in cantiere le opere tipo 7000, che presero il nome dal numero della circolare che ne illustrava le caratteristiche. Erano piccole casematte che ospitavano un paio di mitragliatrici o raramente un cannone anticarro, le loro feritoie erano protette da una piastra metallica annegata nel calcestruzzo che a volte superava i due metri si spessore.
A queste si aggiunsero nel 1940 le opere tipo 15.000 che avrebbero dovuto essere ben più estese ed in grado di sostenere attacchi prolungati. All'entrata in guerra dell'Italia, nel giugno 1940, nessuna era ancora completata, i lavori proseguirono fino al 1942 quando vennero definitivamente abbandonati.
Con il trattato di pace del 1947 numerose opere vennero annesse alla Francia grazie alle rettifiche del confine, delle altre era prevista “La distruzione ... nel limite di 20 chilometri da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente Trattato” che doveva essere “completata entro un anno dall'entrata in vigore del Trattato”.
Massimo Ascoli, Marco Boglione, Gianfranco Ialongo, Simone Perron, Alessandro Celi, Tra baita e bunker,
Fondation Émile Chanoux, Aosta, 2009, pag. 42 e seguenti.
(1) Nathalie Dufour, Paolo Palumbo, Andrea Vanni Desideri, Il sistema difensivo del colle del Piccolo San Bernardo,
Arti Grafiche Duc, Saint Christophe 2006
Luca Zavatta, Le valli del Monte Bianco, L’Escursionista Editore, Rimini 2004
Dario Gariglio e Mauro Minola, Le fortezze delle Alpi occidentali, ed. l'Arciere, 1994
L’Escursionista Editore – Carta dei sentieri 2 – scala 1:25.000
Istituto Geografico Centrale – Foglio 4 – scala 1:50000
Comunità Montana Valdigne Mont Blanc – I sentieri – scala 1:50.000
PAGINA ANTE 16.12.2007
ULTIMO AGGIORNAMENTO 29.07.2013
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