Targa dedicata
al Grand Gorret
(Ayas)
Alcuni francofili frettolosi traducono il lemma francese "abbé" con quello italiano "abate". Nella Valle d'Aosta francofona il titolo di abbé (prete che non fa parte di un ordine religioso) e quello di curé (prete che non fa parte di un ordine religioso e dirige una parrocchia) venivano usati per il clero secolare e non hanno nessuna attinenza con il titolo di "abate" che spetta al superiore di una comunità monastica.
Le suole VIBRAM hanno preso il nome da quello del loro inventore: la guida alpina VItale BRAMani.
Così risulta dal verbale del Consiglio Comunale di Challant Saint Anselme del 4 luglio 1918 "... mettendo in cale i diritti più certi dei comuni, gl'interessi del circondario che ha diritto prima di altro alla elettrificazione della ferrovia ..."
Jean-Auguste Voulaz, Le Ru Herbal, aperçu historique - documents, A.V.A.S., Imprimerie Il Timbro, Aoste, 1985, pag. 75
Monte Cervino dal Ru de Lies
di Antey-Saint-André
"... io prego di desistere da qualsiasi attacco contro la lingua francese in Val d'Aosta, che i valdostani considererebbero veramente offensivo. Non favoriamo le mene di pochi faziosi e di pochi sconsigliati che tendono ad alimentare quello pseudo irredentismo di cui ho parlato, in buona o in mala fede ..."
Estratto dal verbale dell'Assemblea Costituente del 30 gennaio 1948, pag. 4250. Versione digitale consultabile a questo indirizzo http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed373/sed373nc.pdf (URL consultato il 26.05.2013)
Le guide escursionistiche sono dei signori che, a pagamento, accompagnano i Signori Turisti en plein air per aiutarli a godere delle bellezze della natura. Sempre più spesso si incontrano sui sentieri valdostani gruppi di turisti stranieri accompagnati da guide straniere.
La legge regionale n. 1 del 21.01.2003 prevede che per esercitare tale nobile professione occorra, tra l'altro,
aver conseguito il diploma di maturità;
frequentare un corso e superare un esame deliberati dalla giunta regionale;
stipulare una polizza di responsabilità civile verso terzi.
Il penultimo organizzato dalla giunta regionale valdostana iniziò il 19.01.2004, era previsto per 60 allievi a fronte di 322 domande di ammissione al corso. L'anno seguente vennero formati altri 60 allievi che seguivano in graduatoria.
Se, in attesa del pensionamento delle guide escursionistiche in servizio, la giunta regionale ritiene di non bandire altri corsi abilitanti, i giovani disoccupati valdostani che intendono intraprendere la libera professione di Guida Ambientale Escursionistica possono iscriversi agli:
esami biennali abilitanti della regione Veneto
http://www.turismo.provincia.venezia.it/default.aspx?PAGINA=718 (URL consultato il 26.09.2013)
o ai corsi abilitanti della regione Emilia-Romagna
http://www.formafuturo.it/training/trainingcoursesdetail.asp?macro=EB1BB5B5-68EB-4898-80AD-90E62423AC86&course=1368_2226 (URL consultato il 26.09.2013)
o a quelli organizzati nella regione Piemonte dove per iscriversi ai corsi è sufficiente la terza media
http://www.formont.it/corsi_dett.asp?id=196 (URL consultato il 26.09.2013)
e chiedere l'iscrizione all'elenco valdostano ai sensi dell'art. 7 comma 3 della legge regionale n. 1 del 21.01.2003 oppure esercitare liberamente la professione sul territorio nazionale o in Europa grazie alla norme emanate dalle istituzioni europee.
Giunta regionale della Regione Autonoma della Valle d'Aosta Deliberazione 53 del 19.01.2004 (URL consultato il 25.03.2013)
Giunta regionale della Regione Autonoma della Valle d'Aosta Deliberazione 4023 del 3.11.2003 (URL consultato il 25.03.2013)
Regione Autonoma della Valle d'Aosta Legge regionale n. 1 del 21.01.2003 (URL consultato il 25.03.2013)
Sì ma solo a 250 anni dalla scoperta dell'America. Come sintetizza efficacemente Giovanni Vauterin sul suo libro dedicato ai Ru, le prime piante di granoturco risultano coltivate nel 1759 nella cascina di Saint-Bénin di Pollein dai padri Bernabiti; le prime patate valdostane furono piantate quasi vent'anno dopo, nel 1777 da Jean-François Frutaz a Chameran di Châtillon e a Valleil di Tognon.
Giovanni Vauterin, Gli antichi rû della Valle d'Aosta, Le Château edizioni, Aosta 2007, pagg. 52 e 53.
Sono pazzi questi valdostani è il titolo dell'articolo di Enrico Tognan nel quale sono raccolte delle notizie divertenti tratte da vecchi giornali valdostani, ne spicca una ancor'oggi di attualità circa il culto del letame: "Il 19 febbraio 1877, l'Écho du Val d'Aoste pubblicò la lettera di un lettore ... che solleva un problema molto serio. ... Vi è nel comune di Aosta, secondo quest'uomo, un culto del letame che raggiunge il feticismo e i mucchi di questa sostanza fertilizzante, ma nauseabonda, la fanno da padroni in quegli agglomerati di abitazioni. Secondo il lettore in quei villaggi una casa non è solo una costruzione destinata a riparare la popolazione dalle intemperie ma piuttosto il centro di una collezione di mucchi di letame vecchi e nuovi di mucca e di maiale, più o meno artisticamente disposti. Il letame regna incontrastato in quei luoghi ed è impossibile discuterne con i vicini a causa della strenua resistenza che oppongono degli amatori del fertilizzante animale."
Tratto da: Enrico Tognan,Lo Falambò n. 223 Automne 2012 n. 3, ISSN 1724-9589, pag. 108, traduzione italiana di Gian Mario Navillod.
La borna della Faye è una cavità naturale posta sulla sinistra orografica del torrente Marmore tra i comuni di Antey-Saint-André e La Magdeleine. Venne riscoperta il 28 maggio 1944 dai partigiani della Brigata Marmore che avevano dovuto abbandonare il loro quartier generale all'alpe Champcellier per sfuggire al restrellamento delle forze nazifasciste. Racconta Vincent (Vincenzo) Trèves nella sua autobiografia:
"Mi ricordai subito della storia che mamma mi raccontava mentre tagliava l'erba. Mi diceva che un tempo c'era un grosso buco chiamato La Borna de la Faye (il buco della fata) dove aveva vissuto la moglie del Signore di Ussel a lungo assente dalle sue terre per guerreggiare in Terra Santa. Vittima di un complotto si era rifugiata in questa caverna per sfuggire ai suoi nemici fino al ritorno del marito. Da allora l'entrata della caverna era introvabile, chiusa dalle frane."
Tratto da: Vincent (Vincenzo) Trèves, Entre l'histoire et la vie, Le Château Edizioni, Aoste 1999, ISBN 88-87214-17-4, pag. 76, traduzione italiana di Gian Mario Navillod.
Il Tor des Geants è una competizione che si snoda lungo le due altevie della Valle d'Aosta. L'idea di un percorso escursionistico che legasse idealmente il Monte Rosa con il Monte Bianco risale alla fine degli anni 1970.
Nel 1978 venne pubblicato da Musumeci il libro dell'Ing. Alberto Ceresa nel quale quale veniva descritto per la prima volta il tracciato dell'Alta Via 1.
Già nella prima edizione erano presenti diverse varianti che con il passare degli anni vennero via via dismesse venendo meno allo spirito dell'Alta Via dei Giganti: un trekking unico, anche con difficoltà alpinistiche, e proprio per questo percorribile solo in Valle d'Aosta, nel cuore delle Alpi.
Il desiderio di rendere accessibile a tutti l'Alta Via dei Giganti, di evitare i conflitti di competenza tra le Guide Alpine e quelle escursionistiche, le ricerca del tracciato meno pericoloso, quello che solleva da ogni responsabilità i sindaci e i manutentori del tracciato ha portato ad una progressiva trasformazione di questo itinerario. Alcuni tratti sono migliorati di molto spostando il tracciato dalle strade ai sentieri ma limando ogni difficoltà si è tolta anche parte del fascino di questo trekking.
A più di quarant'anni dallo studio del primo tracciato dell'Alta Via dei Giganti, ora Alta Via 1, è forse bene fermarsi a riflettere su come era stato pensato in origine questo lungo trek.
1 partenza da Staffal, Colle della Bettaforca, Rifugio Ferraro.
oppure
1a partenza da Staffal, Colle della Bettaforca, Colle della Bettolina Sup., Rifugio Quintino Sella, Colle della Bettolina Sup., Verraz, Résy, Rifugio Ferraro.
2 dal Rifugio Ferraro, Fiery, Colle Sup. Cime Bianche, Diga Goillet, Cervinia.
oppure
2a dal Rifugio Ferraro, Fiery, Colle Sup. Cime Bianche, Colle Ventina Nord, Testa Grigia (arrivo funivia), Colle del Teodulo, Plan Maison, Cervinia.
3 da Cervinia, Avuil, Vorpilles, Tola, Finestra di Cignana, Alpe quota 2220, Col di Fort, Bivacco Rivolta.
oppure
2b dal Rifugio Ferraro, Saint-Jacques, Alpe di Nana, Col di Nana, Colle Croux, Cheneil, Promindò, Paquier, Valmartin, Promoron, Cignana, Col di Fort, Bivacco Rivolta.
4 del Bivacco Rivolta, Alpe Drayère, Finestra di Cian, Alpe Ollieres, Alpe Servaz, Rifugio Cuney.
5 dal Rifugio Cuney, Col Chaleby, Col Vessona, Closé, Dzovennoz.
oppure
4a del Bivacco Rivolta, Punta Cian (Cresta Rey), Colle di Cian, Colle Chavacour, Finestra di Cian, Alpe Ollieres, Alpe Servaz, Camplaisant, La Noua, Porliod, Lignan.
5a da Lignan, Pléoules, Alpe Léché, Col Léché, Colle di Saint-Barthélemy, Verdona, Closé, Dzovennoz.
6 da Dzovennoz, Ruz, Bivaco Spataro, Colle del Mont Gelé, Bivacco Regondi.
7 dal Bivacco Regondi, Alpe Commune di By, Alpe Bereuà, Colle Champillon, Alpe Pointier, Bezet, Eternon, Saint-Rhemy, Couchepache.
oppure
6a da Dzovennoz, Ruz, Bivaco Spataro, Colle del Mont Gelé, Bivacco Regondi, Glacier, Ollomont.
7a da Ollomont, Rey, Veries, Alpe Champillon, Colle Champillon, Alpe Pointier, Bezet, Eternon, Saint-Rhemy Couchepache.
oppure
6b da Dzovennoz, Ruz, Bivaco Spataro, Colle del Mont Gelé, Bivacco Regondi, Col Cornet, Ollomont.
oppure
7b da Ollomont, Rey, Ru du Mont, Chatelair, Martinet, Etroubles, Cerisey, Couchepache.
oppure
7c da Ollomont, Clapey, Chez Collet, Frissonia Dessus, Doues, Martinet, Etroubles, Cerisey, Couchepache.
8 da Couchepache, Devi, Tsa di Merdeux, Col Malatrà, Alpe Gioé, La Vachey, Planpincieux, Entrèves.
Alberto Ceresa, Valle d'Aosta Alta Via n. 1, Musumeci Editore, Aosta
Nell'intervista pubblicata il 17 settembre 2011 a pag. 64 il quotidiano La Stampa (soprannominata bonariamente La Bùsiarda) ha dato notizia che il presidente della Regione Augusto Rollandin avrebbe percorso, fuori gara, la prima tappa del Tor des Géants in due ore. Tempo clamoroso poiché il primo concorrente nella classifica ufficiale ad aver percorso la distanza Courmayeur-Valgrisenche risulta Salvador Calvo Redondo in poco meno di sette ore e mezza.
Nella precisazione pubblicata il 23 settembre 2011 a pag. 65 la toppa si è rivelata peggiore del buco: La Stampa afferma che a causa di un refuso il presidente della regione avrebbe percorso la prima tappa del Tor des Geants da Courmayeur a Cogne (Sic!) in 12 ore anziché in due; peccato che il primo concorrente a transitare a Cogne sia stato Salvador Calvo Redondo in poco più di 18 ore.
Cronometraggio Tor 2011
La Stampa 17 settembre 2011
La Stampa 23 settembre 2011
(URL consultati il 21.11.2011)
Com'è andata a finire? Nel 2012 il Presidente della Regione Augusto Rollandin ha partecipato al Tor des Geants nella squadra del Forte di Bard. Avrebbe voluto raggiungere Cogne ma si è ritirato a Rhêmes dopo aver percorso 65 km in circa 25 ore di gara.
I quattro atleti che hanno rappresentato il forte di Bard sono stati particolarmente sfortunati: il primo a ritirarsi è stato Augusto Rollandin, lo hanno seguito Dennis Brunod a Cogne e Luca Argentero a Niel. Mario Mochet ha terminato la gara a Saint-Rhémy-En-Bosses perché a causa del maltempo solo i migliori atleti hanno potuto raggiungere Courmayeur.
Cronometraggio Tor 2012
La Stampa 11 settembre 2012
(URL consultati il 12.09.2012)
Per la costruzione della Strada Reale gli abitanti di Champorcher offrirono il legname necessario e 1500 giornate di lavoro gratuito. Purtroppo i lavori eseguiti nell'inverno 1861/62 presentarono alcune criticità tant'è vero che il Consiglio comunale nella seduta del 15 agosto 1862 osservò che:
"cette route, construite en grande partie en hyver où le terroir était gelé, n'est d'aucune solidité, les nombreux murs de soutenement sont mal construits, n'ayant été fondés qu'a fleur de terre..."
(questa strada, costruita in gran parte in inverno quando il terreno era gelato, non è per nulla solida, i numerosi muri di sostegno sono stati mal costruiti, essendo stati fondati solo a fior di terra...)
Fausta Baudin, Champorcher la storia di una comunità dai suoi documenti, Arti Grafiche Duc, Aosta 1999, pag. 227
Il 29 agosto 1869 l'Abbé Gorret tenne a Varallo davanti all'assemblea generale del Club Alpino Italiano un discorso nella lingua che meglio conosceva: la lingua francese. Balza agli occhi che alla fine del 1800 non solo il francese era la lingua meglio conosciuta da Gorret ma anche una lingua ben padroneggiata dai soci CAI presenti.
"Vous voudrez bien m'excuser aussi d'employer la langue française, c'est la langue que je connais le mieux et puis c'est un usage et un droit de mon pays."
"Vorrete perdonare anche il mio utilizzo della lingua francese, è la lingua che conosco meglio ed inoltre è un uso ed un diritto del mio paese."
Abbé Amé Gorret, Autobiographie et écrits divers,
Administration Communale de Valtournenche, Turin 1987, pag. 111.
(Tratto da C.A.I. n. 16 pag. 314, 1869).
I ru du pan perdu sono dei canali irrigui costruiti nel medioevo per portare le acque dai torrenti della valli laterali ai pendii aridi della valle centrale. Nella Valtournenche ve ne sono due ancora ben visibili: l'uno sulla destra orografica che irrigava presumibilmente i pianori di Verrayes, l'altro sulla sinistra orografica che solca ancor oggi la collina di Châtillon.
Se si osserva il Ru du Pan Perdu di Antey ci si accorge che sono ancora ben visibili gli archi che sorreggevano il suo tracciato a fianco del villaggio di Navillod e sopra quello di Berzin ma non vi è traccia alcuna del vecchio alveo che tagliava le terre coltivate comprese tra questi due punti.
È probabile che la necessità di sfruttare ogni più piccolo pezzo di terra coltivabile spingesse i contadini a colmare e a mettere a coltura i tratti di ru non più utilizzati.
Tale pratica era ancora in uso alla metà del settecento e, quando a causa di uno spostamento della sorgente fu necessario scavare un nuovo ru ad Issime, all'impresario venne imposto di “... remplir le vieux canal et d'unir le terrain avec les materiaux et terre au dessus ... ” (“... riempire il vecchio canale ed unire il terreno con i materiali e la terra al disopra ...”)
Claudine Remacle, Gestione sociale dei rischi naturali, Regione Autonoma Valle d'Aosta, Musumeci S.p.A., Quart, 2007, pag. 181 nota 11
Biglietto affisso
nel comune di Perloz
Nel novembre 2010 ho trovato un biglietto singolare, era affisso sulla porta di una vecchia casa, in un villaggio del comune di Perloz. Diceva "Per favore, non spaccatemi la porta. Telefonate al N 0125 807___ e vi dirò dové la chiave. che mi costano più le porte della roba che c'è dentro. Grazie."
Nel 1902 il Prof. Sylvain Lucat e l'avvocato Désiré Lucat pubblicarono ad Aosta un breve testo nel quale esponevano alcune considerazione contro la prevista demolizione dell'antica chiesa parrocchiale di Châtillon.
Purtroppo i loro sforzi non ebbero l'effetto desiderato, ma come venne auspicato dagli autori nell'ultima pagina, il loro libro permette ai loro pronipoti francofoni di conoscere la storia poco edificante della loro chiesa. Ecco la versione digitale del testo.
copertina, pagina 1, pagina 2 e 3, pagine 4 e 5, pagine 6 e 7, pagine 8 e 9, pagine 10 e 11, pagine 12 e 13, pagine 14 e 15, pagine 16 e 17, pagine 18 e 19, pagine 20 e 21, pagine 22 e 23, pagine 24 e 25, pagine 26 e 27, pagine 28 e 29, pagine 30 e 31, pagine 32 e 33, pagine 34 e 35, pagine 36 e 37, pagine 38 e 39, pagine 40 e 41, pagine 42 e 43.
Nel testo di Édouard Aubert dedicato alla Valle d'Aosta a pagina 142 si trova uno scorcio di Châtillon dominata dall'antica chiesa parrocchiale.
Édouard Aubert, La Vallée
d'Aoste, Amyot libraire-éditeur, Paris, 1860, pag. 142
versione digitale disponibile a questo indirizzo:
http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k54083185.image.hl.r=chatillon.f203
Un altro panorama di Châtillon nel quale si vede l'antica chiesa parrocchiale si trova nell'opera del Canonico Georges Carrel, La Vallée de Valtournenche en 1867, pubblicata sul bollettino del CAI n. 12 del primo semestre 1868, a pag. 4.
versione digitale disponibile a questo indirizzo:
http://books.google.it/books?id=YagVAAAAYAAJ&dq=antey&pg=PA3#v=onepage&q=antey&f=true
Questo estratto dal libro di Édouard Aubert, che fece conoscere la Valle d'Aosta agli intellettuali francofoni di fine '800, pone l'accento sulla scarsa sensibilità che avevano i valdostani dell'epoca riguardo alla conservazione delle opere d'arte di epoca romana che conteneva la loro città.
La scarsa sensibilità di allora, che oggi ci fa oggi accaponare la pelle non è poi molto diversa da quella che dimostrano i valdostani contemporanei a riguardo dell'architettura medievale in legno, che viene lasciata spesso marcire sotto la pioggia. Vedasi a proposito le note n. 36 e n. 38
J'ai admiré aussi plusieurs beaux fragments de mosaïque: à ce propos, je ne puis m'empêcher de dire combien il est regrettable qu'on laisse périr des objets d'art aussi précieux, faute de quelques soins et de quelque argent utilement dépensé. La plus remarquable de ces mosaïques est couverte d'ornements composés avec goût exquis, de fruits et d'oiseaux se détachant sur un fond noir. Elle sert de pavé à une pauvre écurie située dans une ruelle étroite; pour arriver à voir quelques parties de ce chef-d’œuvre, il faut soulever des couches épaisses de fumier, balayer les immondices qui le recouvrent. Comment ne pas déplorer alors que ce fragment, digne d'enrichir un musée, se trouve dans des conditions aussi désastreuses pour sa conservation?
Ho ammirato anche diversi bei frammenti di mosaici: a questo proposito non posso trattenermi dal dire quanto sia disdicevole che si lascino degradare degli oggetti d'arte così preziosi, a causa della mancanza di cura e di un po' di denaro speso proficuamente. Il più rimarchevole di questi mosaici è coperto di ornamenti del gusto più squisito, di frutti ed uccelli che si staccano su fondo nero. Serve da pavimento a una povera stalla situata in una viuzza stretta, per riuscire a vedere qualche pezzo di questo capolavoro, occorre sollevare degli strati spessi di letame, scopare le immondizie che lo ricoprono. Come non deplorare dunque che questo frammento, degno di arricchire un museo, si trovi in condizioni così disastrose per la sua conservazione?
Traduzione di Gian Mario Navillod
Édouard Aubert, La Vallée d'Aoste, Amyot libraire-éditeur, Paris, 1860, pag. 184 versione digitale disponibile a questo indirizzo: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k54083185.image.f259
Il prezioso volume di Laura e Giorgio Aliprandi permette di osservare l'evoluzione del toponimo di Antey sulle carte geografiche dal XVII al IXX secolo.
La Legge regionale del 9 dicembre 1976, n. 61 fissa in Antey-Saint-André la denominazione ufficiale del comune.
Data | Atto - Autore | Toponimo |
1680 | Carta - Giovanni Borgonio (* pag. 183) | Antei |
1691 | Carta - Jean Baptiste Nolin (* pag. 184) | Antei |
1705 | Carta - Jacopo Marcucci (* pag. 185) | Antey |
1707 | Carta - Guillaume de l'Isle (* pag. 186) | Antei |
1772 | Carta - Jacopo Stagnone (* pag. 188) | Antei |
1786 | Carta - Esprit-Benoît Nicolis de Robilant (* pag. 186) | Anthey |
1832 | Carta - Paul Chaix (* pag. 191) | André d'Antei |
1835 | Carta - Joseph Edmund Woerl (* pag. 192) | Antey S. André |
1852 | Carta topografica degli stati in terraferma - AAVV (* pag. 195) (carta che riporta anche i villaggi di Les Iess, Lilla, Fierna, Niouarcaz, Viletta) |
Antey S. André |
1939 | Richiesta del podestâ di tradurre in forma italiana la denominazione del comune (** pag. 274) | Antei-San-Andrea |
* Laura e Giorgio Aliprandi, Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 vol. II,
Priuli e Varlucca Editori, Scarmagno 2007, ISBN 978-88-8068-377-3, pag. 183 e segg.
** Luciano Viola, Antey-Saint-André dalle origini ad oggi, II ed., Nichelino, 2006, pag. 274
Questa nota non riguarda gli escursionisti a cui non è mai successo, durante una piacevole escursione estiva in montagna, di essere all'improvviso bloccati da uno o più cani dall'aspetto feroce che con alti latrati e digrignìo di denti tentano di respingere il turista o di assaggiarne una gamba.
Tutti gli altri, e temo siano numerosi, possono come me rimpiangere i bei tempi andati quando, come si apprende dal piacevolissimo libro di Alexis Bétemps sugli alpeggi, “Fin dopo gli anno Sessanta, (del 1900 NdR) i pastori che avevano un cane erano rari … temevano che spaventassero le mucche. Preferivano far correre i tchit (bimbi/ragazzi tra gli 8 e i 15 anni che lavoravano in alpeggio NdR)”.
Con il XXI secolo le mucche valdostane sono diventate più coraggiose, e i turisti sembra siano chiamati a fare altrettanto.
Alexis Bétemps, La vita negli alpeggi valdostani, Priuli & Verlucca editori, Borgaro Torinese, 2009, ISBN 978-88-8068-436-7, pag. 85
A quale stato appartiene la cime più alta dell'Unione Europea? Per gli italiani la cima del Monte Bianco è italo-francese poiché che si trova esattamente sullo spartiacque alpino. I francesi invece sostengono che essa è compresa interamente in territorio francese, posta a cavallo del confine amministrativo tra i comuni di Saint-Gervais e Chamonix-Mont-Blanc.
Le cartografie ufficiali a riguardo sono di scarso aiuto, per quella italiana la vetta è italo-francese, per quella francese la cima del Monte Bianco è interamente in territorio transalpino. La questione nacque in seguito alla cessione di Nizza e Savoia alla Francia di Napoleone III da parte del Re di Sardegna Vittorio Emauele II, nel quadro degli accordi che portarono alla seconda guerra d'indipendenza.
Giova ricordare che già il trattato di Utrecht dell'11 aprile 1713 tra il Re Sole e Vittorio Amedeo II di Savoia fissò la linea di confine sullo spartiacque alpino (art. IV "... et tout ce qui est à l'eau pendente des Alpes du costé du Piemont ... de manière que les sommités des Alpes ... servoront à l'avenir de limite entre la France, le Piemont ..." "e tutto quanto sia bagnato dalle acque che scorrono dalle Alpi al Piemonte ... in maniera che le sommità delle Alpi ... serviranno in futuro da confine tre la Francia, il Piemonte ... ")
Soldati italiani in armi
sulla vetta del Monte Bianco.
Primo a dx: S. Ten. Pierino Mattio.
Tesserino della Scuola
Militare Alpina di Aosta
del Sottotenente Pierino Mattio.
La carta allegata al trattato del 1862 con il quale il Re di Sardegna cedeva Nizza e la Savoia all'Imperatore Napoleone III è tutt'ora conservata nell'Archivio di Stato di Torino ed è stata riprodotta nella accurata ricerca di Laura e Giorgio Aliprandi sulla cartografia delle grandi Alpi. Essa pone la cima del Monte Bianco indiscutibilmente sulla linea di confine. Tale documento, sottoscritto dai rappresentati di entrambi gli stati dovrebbe risolvere definitivamente la questione, anche perché l'altra copia della carta allegata al trattato, conservata negli archivi francesi, sembra non sia al momento reperibile.
Sulla storia della frontiera franco-italiana vedasi la pagina dedicata alla storia della frontiera sul Monte Bianco su Wikipedia.
Il mio papà ha sempre saputo che la cima del Monte Bianco è metà italiana e metà francese. Nel 1955 era sottotenente alla Scuola Militare Alpina di Aosta e in quegli anni i soldati erano saliti sulla cima del Monte Bianco con le armi, cosa che non avrebbero potuto fare su di una montagna interamente francese.
Laura e Giorgio Aliprandi, Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 vol. II, Priuli e Varlucca Editori, Scarmagno 2007, ISBN 978-88-8068-377-3, pag. 159 e segg.
Henri Vast, Les grands traités du règne de Louis XIV., Alphonse Picard et Fils ed., Paris 1899, documento consultabile a questo indirizzo: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k96031j.image.r=traite+de+utrecht+savoie.f134.langEN
Esaminando i conti della castellania di Cly del 1376/1378 Joseph-César Perrin ha calcolato il prezzo di un kg di formaggio in 10 denari, somma esorbitante per l'epoca poiché il valore di una pecora era fissato in 8 denari e il salario giornaliero per un falciatore era pari a 3 denari, quello di un muratore di 2 denari e un quarto, quello di un vendemmiatore un solo denaro.
Mauro Bassignana, Alexis Bétemps, Saverio Favre, Lidia Philippot, Joseph-César Perrin, Claudine Remacle, Muri d'alpeggio in Valle d'Aosta: storia & vita, ed. Priuli & Verlucca, Aosta, Scarmagno 2009, pag. 21
La carta delle franchigie è considerata una delle fonti dell’autonomia della Valle d’Aosta; al suo interno si trovano alcune norme che se applicate ai giorni nostri provocherebbero pittoreschi ingorghi nelle vie cittadine.
“… Si quis in adulterio deprehensus fuerit adulter et adultera nudi per civitatem ducantur et penam .LX. solidorum incurrat. …” “ … Se in adulterio saranno colti l’adultero e l’adultera saranno trascinati nudi per la città e incorreranno nell’ammenda di 60 soldi. …”
Tratto dalla carta della franchigie di Tommaso I, Conte di Savoia, secondo il testo ritrovato negli archivi del Vescovado di Aosta, senza data (probabilmente 1191). A testimoninaza dei corsi e dei ricorsi della morale valdostana vedasi il n. 28.
Alpe Comboé di sotto
Médicine pour arrêter le sang que l'on peut perdre par le nez.
Medicina per fermare il sangue che può uscire dal naso.
Il faut prendre des poils des feces et qu'il soit un home et des plus proches parents ou de celui de soi-même et les coper par menut et pit y grater de cire d'Espagne par dessus lesdites poils et pit faites les tirer par le nez en guise de tabaque le sang s'arrêtera tout de suite. Ledit remède doit être bon.
Occorre prendere dei peli del culo e che sia di un uomo e dei parenti più prossimi o di quello di se medesimo e tagliarli finemente e poi grattare della cera di Spagna sopra i detti peli e poi fateli tirare dal naso a guisa di tabacco il sangue si fermerà immediatamente. Il detto rimedio deve essere buono.
Tratto dalla lista dei rimedi che il Signor Germain Favre
guaritore ha insegnato a Joseph fu Maurice Bozon di Vallorsine in
Savoia,
pastore a Verjuint dal 1742 al 1744,
pastore a Saint Marcel nel 1754,
pastore a Saint-Bartholemis nel 1746,
pastore a Levionnaz dal 1747 al 1760,
casaro a Cogne al Moné dal 1761 al 1762,
casaro a Sarret al Combroud nel 1764,
pastore a Sarret al Morgne nel 1765,
pastore a Arsse nel 1767,
casaro a Chamois al Fouressut nel 1767,
casaro a Gressent nel 1769,
casaro a Chaligne nel 1770,
pastore a Vertosent nel 1771,
pastore a Arsse nella parrocchia di Gignod nel 1773,
pastore a Sept in Vertosensin Avise nel 1774,
pastore alle Lore in Brissogne nel 1776,
pastore a Chavolarie a Saint-Bartholomis nel 1777,
casaro a Zon onna nel Paese d'Aosta nel 1782,
pastore a Hotebise nella parrocchia di Car nel 1784,
pastore a Grason in Cogne nel 1787,
pastore a Lores di Martin a Saint Georges nel 1791.
Germaine Levi-Pinard, La vie quotidienne à Vallorcine au XVIIe siècle, Académie Salesiénne, Annecy 1974, pag. 200
Senz'altro vi furono all'origine di questo trasferimento ben più profonde motivazioni pastorali e di opportunità però questo quadretto gustoso riportato da Amato Chatrian nel suo simpatico volume sull'umorismo nella chiesa valdostana la dice lunga sui rapporti tra questi grandi esponenti del clero valdostano.
... L'abbé Gorret rencontra l'Évêque, Monseigneur Duc, qui le réprimanda vertement de ce qu'il ne portait pas sa soutane, comme d'ailleurs obligeaient les prescriptions synodales. Calme et souriant l'abbé, en baisant l'anneau épiscopal: “mais monseigneur – lui dit-il - vous vous trompez lourdement: il n'y a aucune désobéissance!” Et lui montrant son sac ouvert, il ajouta : “Voyez, je porte toujours ma soutane, comme mon Évêque me l'a ordonné!”
Il Grand Gorret incontrò il vescovo, monsignor Duc, che lo rimproverò seccamente visto che non portava la sottana, come d'altronde richiedevano le prescrizioni sinodali. Calmo e sorridente il Grand Gorret, baciando l'anello episcopale: “Ma Monsignore - gli disse – vi sbagliate di grosso: non vi è alcuna disubbidienza!” E mostrandogli il suo zaino aperto, aggiunse: “Vedete, porto sempre la mia sottana. Come il mio vescovo mi ha ordinato!”
Aimé Chatrian, Humour et bonne humeur del curés valdôtains, Imprimerie Valdôtaine, Aosta, 2006 pag. 55
Morena e ghiacciaio del Triolet
sotto il Rifugio Dalmazzi
In six hours from the Hospice you reach the lovely valley,
where, beneath a southern sun and sky, are spread the vineyards
and the Cité D'Aoste. Few scenes are more refreshingly beauti-
ful than the rich chestnut and walnut foliage, which marks your
proximity to the city; in a few hours you have gone from the
extreme of coldness and sterility amidst eternal ice and snow, to
that of an almost tropical warmth and luxuriance of vegetation.
In sei ore dall'Ospizio (del Gran San Bernardo NdT) si raggiunge l'amena valle,
dove, sotto un sole ed un cielo meridionali, si trovano i vigneti
e la città di Aosta. Poche scene hanno una più fresca bellezza
dei ricco fogliame dei castagni e dei noci, che segnalano la
vicinanza della città; in poche ore si passa
dall'estremo freddo e dalla sterilità dei ghiacci eterni e della neve, ad
un tepore quasi tropicale ed al lussureggiare della vegetazione.
George Barrell Cheever, Wanderings of a pilgrim in the shadow of Mont Blanc, Wiley & Putnam, New York, 1846, pag. 104
copia digitale consultabile a questo indirizzo: http://books.google.com/books?id=HoISAAAAYAAJ&pg=PA139&dq=aoste+inauthor:cheever&lr=&as_drrb_is=b&as_minm_is=0&as_miny_is=&as_maxm_is=0&as_maxy_is=1900&as_brr=0&hl=it&cd=1#v=onepage&q=aoste%20inauthor%3Acheever&f=false
Nel XVIII secolo ad Ayas i pascoli comuni meno ricchi venivano brucati da greggi di pecore che salivano dal Biellese. A quei tempi il letame era così prezioso che i pastori avevano l'obbligo di portare a valle ogni giorno le greggi e far loro passare la notte sui prati dei privati che avevano diritto ai pascoli comuni. Non solo, al mattino dovevano far alzare le pecore un po' prima della partenza affinché svuotassero l'intestino sul prato da concimare e non per strada.
Ecco alcuni estratti dagli atti conservati nell'archivio notarile di Aosta. Dall'atto rogito dal notaio Jean Louis Dondeynaz il 3 luglio 1741: “faire paître ... un parc de moutons et brebis ... et icelluy coucher touttes les nuits ... sur les prés de chasques particuliers partayants, alternativement, suivant la coutume ... “ (far pascolare ... uno stabbio* di montoni e pecore ... e codesto farlo dormire tutte le notti ... sui prati di ogni singolo avente diritto, alternativamente, secondo l'uso ...) e, al mattino, dall'atto rogito dal notaio Jean Louis Dondeynaz il 2 luglio 1757 “faire lever les brebis quelques temps avant les faires sortir du parc” (fare alzare le pecore un po' di tempo prima l'uscita dallo stabbio*)
* stabbio: luogo recintato nel quali si tengono gli animali all'addiaccio per fertilizzare il terreno.
Claudine Remacle in: Claudine Remacle, Danilo Marco, Giovanni Thumiger, Ayas uomini e Architettura, Ed. Livres et Musique, Ayas 2000, 2a Ed. 2005, pag. 52.
Finestra decorata
dei tre artisti a
Mascognaz
Malgrado il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e le ingenti somme che ogni anno si investono nel sistema scolastico regionale della Valle d'Aosta, all'inizio del XXI secolo si è cominciato ad osservare una generale recrudescenza del triste fenomeno che ha funestato la nostra regione nei secoli passati: il cretinismo sta risorgendo.
Fortunatamente si tratta di un'epidemia estremamente circoscritta, ne risultano del tutti immuni i nostri cugini d'oltralpe i cui studenti, in larga maggioranza, ottengono il baccalaureat dopo 4 anni di scuole superiori e di conseguenza si iscrivono all'università poco più che diciottenni.
Anche oltre Atlantico i discenti statunitensi accedono alle facoltà universitarie dopo 4 anni di studi superiori e pare il loro sistema educativo attragga ogni anno numerosi studenti dai quattro angoli del globo. Sembra che al momento nessuna scuola superiore degli Stati Uniti sia ancora interessata dalla pestilenza che colpisce gli studenti valdostani.
In Italia s'è ritenuto sia più proficuo approfondire gli argomenti trattati nella scuola superiore dilatandone i tempi: quanto si fa in quattro anni negli Stati Uniti o in Francia gli studenti italiani meritevoli lo acquisiscono in 5 anni.
Probabilmente l'indole dei pronipoti di Giulio Cesare ha effetti nefasti sulla loro capacità di apprendimento, oppure le alte montagne della Valle d'Aosta con la loro ombra austera e il freddo vento dei ghiacciai rallentano la maturazione dei giovani valdostani, fatto sta che alcuni insegnanti ritengono utile che il loro discenti approfondiscano le nozioni apprese ripetendo una o più classi e giungendo alle soglie della facoltà prescelta nell'età nella quale i coetanei francesi o statunitensi stanno terminando i loro studi universitari.
Quali che siano le origini misteriose della recrudescenza del cretinismo in Valle d'Aosta la scienza matematica ne fornisce una esatta fotografia e se ben applicata potrebbe anche fornire robusti anticorpi a tale flagello.
I dati sono allarmanti: se nei licei valdostani circa il 90% degli studenti compie gli studi medi superiori nei canonici 5 anni (1), risultato più o meno in linea con il resto d'Italia, nellâistruzione artistica, rappresentata in valle da una sola scuola nata da quella splendida fucina d'artisti che è stato l'Istituto d'Arte di Aosta, solo il 54,5% degli studenti riesce a compiere il percorso nei tempi previsti: più del 45% ripete uno o più anni.
Mentre la media nazionale nell'istruzione artistica, già sufficientemente bassa, si attesta di poco sopra al 70%, non si capisce come mai ad Aosta, che non ha i problemi sociali della periferia di Napoli o l'ediliza scolastica della provincia di Palermo, si debba avere quasi la metà dei ragazzi che arrivano alla maturità con uno o più anni di ritardo.
Le conoscenze scientifice attuali portano ad escludere che questa epidemia perniciosa abbia origine dalla condizioni climatiche della Valle d'Aosta come ipotizzava De Saussure o quelle morali tirate in causa da Raoul-Rochette.
Meridiana di Mascognaz
C'est l'heure de bien faire
Alcuni studenti impertinenti si sono chiesti citando Seneca: "Cui prodest?" a chi conviene tale stato di fatto? Ossia che ha interesse ad allungare artificiosamente la durata delle scuole medie superiori? Non ai politici che devono coprire i costi di una scuola inefficiente, agli ultimi posti delle classifiche OCSE, non ai genitori che devono supplire alle deficienze della scuola pubblica con le lezioni private, non gli studenti che sarebbero ben lieti di transitare velocemente verso l'università o il mondo del lavoro, non alla grande maggioranza degli insegnanti che fa il proprio dovere e trasmette le proprie conoscenze ed il proprio amore per la materia insegnata ai propri studenti.
Questo disastro della scuola valdostana conviene ad alcuni insegnanti che pensano che allungare la permanenza degli alunni nella scuola media superiore sia una maniera di conservarsi un posto di lavoro: se il percorso scolastico dura un anno in più io lavoro un anno in più. Conviene anche a coloro i quali danno lezioni private: se valuto un compito in classe cinque invece di sei la famiglia manderà il ragazzo a lezione e il mio collega arrotonderà lo stipendio, se poi mi restituisce il favore lo arrotonderò anch'io.
Come superare il problema? Con la matematica. Visto che i voti devono per legge essere compresi tra 1 e 10 se vi sono insegnanti che durante l'anno scolastico attribuiscono solo voti solo dall'1 al 7 gli si riduca lo stipendio in proporzione, o lo si aumenti ai colleghi, e se vi sono degli insegnanti che hanno la maggioranza delle loro classi insufficienti gli si diminuisca lo stipendio o li si trasferisca ad altro incarico, evidentemente il loro metodo didattico non è produttivo.
Dati tratti dalla bozza in consultazione del piano di zona 2009, redatta con la collaborazione dei dirigenti dell'USL, dei Comuni e delle Comunità Montane della Valle d'Aosta. Il solo gruppo di monitoraggio è formato da 15 persone che rappresentano regione, comuni, USL e mondo del volontariato. Oltre 700 (2) persone hanno partecipato alla sua stesura.
(1) pag. 112
(2) pag. 13
copia digitale consultabile a questo indirizzo:
https://www.comune.aosta.it/userfiles/file/comune/pdz-aosta-bozza.pdf
Grazie al progredire della scienza medica viene appurato che il gozzo ed i cretinismo sono dovuti alla carenza di iodio, il miglioramento dell'alimentazione e l'uso del sale iodato riducono pressoché a zero i casi di gozzo e cretinismo in Valle d'Aosta.
Nel 1909 venne attribuito il Nobel per la medicina a Theodor Kocher, per i suoi studi sul trattamento chirurgico del gozzo e le sue ricerche sul cretinismo. Nella prima metà del XX secolo venne introdotta in Svizzera la profilassi a base di sale iodato.
Arte alpina valdostana,
sentieristica enigmistica
«Il y a une malheureuse manie, parmi ceux qui écrivent des relations de voyage dans la Vallée d’Aoste, c’est la manie de rencontrer partout des crétins et des goîtres et, souvent, l’on prétend en donner des esquisses qui ne rencontrent heureusement rien de semblable dans ce que la nature a produit. Il faut diviser ces auteurs à crétins en deux classes: les uns ont réellement visité et parcouru la Vallée d’Aoste et ceux-là sont les plus sobres et les plus modérés, ils ne notent les crétins que pour la forme et pour payer tribut à la mode; les seconds n’ont jamais mis le pied sur le sol valdôtain, et pour se donner l’air d’avoir visité le pays, ils accumulent crétins sur crétins, goîtres sur imbécillité. … Depuis M. de Saussure, on se croirait n’être pas passé à Villeneuve, ou du moins on craindrait l’incrédulité des lecteurs si l’on n’avait rencontré force crétins à Villeneuve. … Il est pourtant malheureusement un abus révoltant que les autorités locales devraient réprimer soigneusement, c’est celui de laisser courir et circuler les semi-crétins, les crétins comiques, sur les places et sur les rues pour exciter le rire et attirer les aumônes des visiteurs; cela se remarque trop souvent à Saint-Vincent pendant la saison des eaux, tandis que le reste de l’année ces prétendus idiots savent travailler et gagner leur pain …»
“Vi è una spiacevole mania, tra chi scrive relazioni di viaggio in Valle d’Aosta, ed è la mania di incontrare dappertutto dei cretini e dei gozzuti e, spesso, si pretende di darne delle descrizioni che non hanno fortunatamente riscontro in nulla di ciò che la natura ha prodotto. Occorre dividere questi autori da cretini in due classi: gli uni hanno realmente visitato e percorso la Valle d’Aosta e costoro sono più sobri e moderati, scrivono dei cretini solo per la forma e per pagar tributo alla moda; i secondi non hanno mai messo piede sul suolo valdostano, e per darsi le arie d’aver visitato il paese, accumulano cretini su cretini, gozzuti su imbecillità. … Dopo il Signor De Saussure, parrebbe si non essere passati per Villeneuve, o almeno si temerebbe l’incredulità dei lettori se non si avessero incontrato numerosi cretini a Villeneuve. … Vi è tuttavia un abuso rivoltante che le autorità locali dovrebbero reprimere con cura, ed è quello di lasciar vagare e circolare i semi-cretini, i cretini comici, sulle piazze e sulle vie per stimolare il riso e attirare le elemosine dei visitatori; ciò si nota troppo sovente a Saint Vincent durante la stagione delle acque, mentre durante il resto dell’anno questi presunti idioti sanno lavorare e guadagnarsi il pane …”
Brani tratti d un articolo pubblicato dall'Abbé Gorret, verosimilmente su Le Touriste di Firenze, si presume tra il 20.05.1875 e il 20 agosto 1876, ritagliato e incollato dall'autore su di un quaderno.
Citati in:
Abbé Amé Gorret, Autobiographie et écrits divers,
Administration Communale de Valtournenche, Turin 1987, pagg. 264, 265
“... dans toute la traversée du val d'Aoste, et durant mon séjour à Aoste même, je ne songeai qu'à recueillir, soit dans mes propres observations, soit dans l'expérience des gens du pays que je consultai, la preuve des influences morales qui contribuent si puissamment, selon moi, au développement du crétinisme. Je me disais: la nature du sol ne saurait être telle ici, que ses habitants ne puissent être absolument que des crétins. Ce n'étaient sans doute pas des crétins, que ces belliqueux Salassi, race indigène de ces vallées, qui firent reculer le génie de Rome étonnée, la première fois que ses aigles victorieuses se présentèrent à l'entrée des alpes ... Ce n'étaient pas non plus des crétins, ces prétoriens, premiers habitants d'Aoste, qui devaient garder cette importante barrière de l'empire ...”
“... durante tutta la traversata della Valle d'Aosta, e persino durante il mio soggiorno ad Aosta, non pensai che a raccogliere, sia attraverso le mie osservazioni, sia attraverso l'esperienza delle persone del luogo che consultai, la prova delle influenze morali che contribuiscono così pesantemente, secondo me, allo sviluppo del cretinismo. Mi dicevo: la natura del suolo non può essere tale qui, per cui gli abitanti debbano essere per forza solo cretini. Senza dubbio non erano dei cretini, quei bellicosi Salassi, razza indigena di queste valli, che fecero indietreggiare il genio di Roma, stupefatto, la prima volta che le aquile vittoriose si presentarono sulla soglia delle Alpi ... Non erano neppure dei cretini, quei pretoriani, primi abitanti d'Aosta, che dovevano custodire questo importante confine dell'impero ...”
Désiré Raoul-Rochette, Lettes sur la Suisse écrites en 1824 e 1825, Ch. Froment libraire, Paris, 1826, pagg. 396 397, copia digitale consultabile a questo indirizzo: http://books.google.it/books?id=Q_sOAAAAQAAJ
Il pastore cornamusiere
gozzuto della
cattedrale di Aosta
"... la vue de la nature humaine avilie & dégradée
cause à presque tous les hommes un sentiment pénible
... Les Crétins produisent au plus haut degré ces
impressions douloureuses, parce qu'à imbécilité
ou à l'absence totale des facultés intellectuelles, ils
réunissent la figure la plus hideuse ... L'impression que
firent sur moi ceux que je vis rassemblés à Villeneuve
d'Aoste ne s'effacera jamais de mon souvenir ... Leur teint est d'un
jaune tirant sur le brun, d'où leur est vraisemblablement venu
le nom de marons qu'on leur donne dans la vallée (Sic)
d'Aoste. ... on en voit meme qui se marient, remplissant tant bien
que mal les devoirs de la société ...
Préservatifs
... on pourroit leur recommander de préserver, autant qu'il
seroit possible, & leurs femmes enceintes & leurs enfants en
bas âge de l'action
immédiate du soleil ... Je conseillerois aussi des plantations
d'arbres auprès des maisons, pour refraîchir
& purifier l'air ... Mais ces précautions devroient être,
les unes ordonnées par le gouvernement, les autres
recommandées par les Curés. Car ... tous les abitants
des lieux ... ils ont tous une indolence & une insouciance
telles, qu'ils ne feroient jamais aucun effort pour se délivrer
de ce fléau.”
“... la vista della natura umana avvilita e degradata causa
in quasi tutti gli uomini un sentimento di pena ... I cretini
producono al più alto grado questi sentimenti dolorosi perchè
all'imbecillità o all'assenza totale di facoltà
intellettuali, uniscono una figura orribile ... L'impressione che
fecero su di me quelli che vidi radunati a Villeneuve d'Aosta non si
cancellerà mai dal mio ricordo ... I loro colorito è
d'un giallo tendente al marrone, da cui è verosimilmente
derivato il nomignolo di marroni che gli si dà in Valle
d'Aosta. ... Se ne vedono persino di sposati, che adempiono bene o
male ai loro doveri sociali ...
Profilassi
... si potrebbe
racommandare loro di preservare, fin che possibile, e le loro mogli
incinte e i loro figli piccoli dall'azione diretta del sole ...
consiglierei anche di piantare degli alberi vicino alle case, per
rinfrescare e purificare l'aria ... Ma queste precauzioni dovrebbero
essere, le prime ordinate dal governo, le altre raccomandate dai
parroci. Poiché ... tutti gli abitanti dei luoghi ... hanno
tutti un'indolenza e una noncuranza tali, che non farebbero mai
alcuno sforzo per liberarsi da tale flagello”
Horace-Bénédict de Saussure, Voyages dans les Alpes, précédés d'un Essai sur l'histoire naturelle des environs de Genève, Chez Barde, Manget & compagnie, Genève, 1786, Tomo II, paragrafi 1030-1036 pagg. 480-487 copia digitale disponibile a questo indirizzo: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1029499.zoom.f501
L'angelo cornamusiere
della cattedrale di Aosta
In valle d'Aosta la cornamusa è stata per lunghi anni dimentica, tant'è vero che che viene considerato spesso uno strumento celtico o scozzese.
In realtà era già conosciuta ai tempi dei romani e, fino all'introduzione dell'organetto e in seguito della fisarmonica, veniva comunemente utilizzata dai contadini per ballare.
Passando davanti al portale della cattedrale di Aosta basta alzare lo sguardo per vedere ben due suonatori di cornamusa, affescati nella prima metà del 1500.
Il primo è un pastore gozzuto che allieta la sacra famiglia proprio sopra il portone d'entrata, il secondo è un angelo vestito di verde pallido che la suona tra le nuvole, in mezzo flauti, tamburi e trombe.
Dopo essere stata reintrodotta in Valle d'Aosta la cornamusa viene anche esportata, in questo video André Navillod suona la cornamusa con i Bagdad Beat in Danimarca.
In questa pagina si trova la sua interpretazione di A la santé de Noë, una canzone da osteria con la melodia molto simile ad un natale provenzale; in questa pagina interpreta La jambe me fait mal, un natale composto da Saboly nel XVII secolo; in questa pagina la celebre canzone natalizia scritta in francoprovenzale dal sacerdote Jean-Baptiste Cerlogne e conosciuta come La pastorala di Cerlogne; in questa pagina una canzone natalizia cinquecentesca scritta da Nicolas Martin intitolata Nouvelles Nouvelles.
Il teatro romano di Aosta
Illustrazione a pag. 231 del Libro di Alexandre Martin
Nel suo libro sulla pittoresca Svizzera e i suoi dintorni, pubblicato nel 1835, il Signor Alexandre Martin parla così bene dei valdostani dell'epoca da meritare una citazione:
“ il n'existe pas de peuple plus doux, plus polis | “ Non esiste popolo più dolce, più educato |
et d'une probité plus reconnue que celui de la | e di una probità più riconosciuta di quello della |
vallée d'Aoste. Il rappelle, par ses moeurs hos- | valle d'Aosta. Ricorda, per la sua tradizione di os- |
pitalières, celui des villes de la Forêt-Noire, si | pitalità, quello delle città della Foresta Nera, così |
empressé à servir les étrangers.” | sollecito nell'esaudire gli stranieri.” |
Tratto da:
Alexandre Martin, La Suisse pittoresque et ses environs. Tableau général, descriptif, historique et statistique, des 22 cantons, de la Savoie, d'une partie du Piémont et du pays de Bade, Hippollyte Souverain, éditeur, 1835, Paris, pag. 225 versione digitale disponibile a questo indirizzo: http://books.google.it/books?id=rPgaAAAAYAAJ&printsec=toc#PRA1-PA225,M1 |
Traduzione di Gian Mario Navillod |
“Ici la vie est douce, la marche facile, | “Qui la vita è dolce, camminare è facile, |
la scène toujours riante, et l'on trouve des Salasses à qui demander s'ils ont à | il panorama sempre ridente, e vi si trovano dei Salassi ai quali chiedere se hanno da |
vendre des figues ou du raisin; des cyclopes à deux yeux, fort polis, et qui vous | vendere dei fichi e dell'uva; dei ciclopi con due occhi, molto educati, che vi |
montrent avec complaisance l'intéressant travail de leurs officines.” | mostrano con cortesia l'interessante lavoro dello loro officine.” |
Tratto da:
Rodolphe Töpffer,
Premiers voyages en zigzag: ou excursions d'un pensionnat en vacances dans les cantons suisses et sur le revers italien des Alpes, quinta edizione, Garnier Frères, Paris, 1859, pag. 8, versione digitale disponibile a questo indirizzo: http://books.google.it/books?id=zbcFAAAAQAAJ&printsec=titlepage#PPA8,M1 |
Traduzione di Gian Mario Navillod |
Nel 1781 De Saussure scendendo dal Col Ferret proveniente dalla Svizzera annota la curiosa abitudine dei pastori di costruire delle vere e proprie tane in cui rifugiarsi in caso di maltempo.
“On voit en descendant une chose qui prouve que la condition | Si vede scendendo una cosa che prova come la condizione |
des bergers, si douce & si riante dans les poésies pastorales, | dei pastori, così dolce e ridente nelle poesie pastorali, |
n'est pas toujours telle dans la réalité. Comme les orages sont | non sia sempre tale nella realtà . Siccome i temporali sono |
terribles dans ce passage, qui est en quelque maniere la gorge | terribili in questo passo, che è in qualche modo il collo |
d'un immense entonnoir ouvert au sud-ouest, & que ces ardoises | di un immenso imbuto aperto a sud ovest, e che queste ardesie |
pourries ne présentent aucun rocher à l'abri duquel les bergers | marce non presentano alcuna roccia al riparo della quale i pastori |
pouissent se réfugier pendant les orages, que même des cabanes | possano rifugiarsi durante i temporali, ai quali nemmeno le capanne |
saillantes hors de terre ne pourroient pas leur résister; ces | sporgenti dalla terra potrebbero resistere; queste |
pauvres gens se creusent dans la terre des especes de tanieres | povere persone scavano nella terra delle specie di tane |
faites en forme de cercueil, soutenues par des feuilles d'ardoises | fatte a forma di bara, sostenute da fogli d'ardesia |
& précisément de la grandeur de leur corps. Quand ils sont | grandi esattamente quanto il loro corpo. Quando sono |
surpris par le mauvais temps, il entrent là dedans à reculons & | sorpresi dal cattivo tempo, vi entrano dentro rinculando e |
s'y tiennent couchés sur le ventre, en fermant l'entrée avec une | vi rimangono appoggiati sul ventre, chiudendo l'apertura con una |
plaque de la même pierre, percée d'un petit trou, au travers | placca della stessa roccia, nella quale è aperto un buchino |
duquel ils veillent sur leurs troupeaux.” | dal quale vegliano sui loro greggi. |
Traduzione di Gian Mario Navillod |
Sentiero per il Rifugio Dalmazzi:
La morena e ghiacciaio del Triolet visti dalla Val Ferret
Horace-Bénédict de Saussure, Voyages dans les Alpes, précédés d'un Essai sur l'histoire naturelle des environs de Genève, Chez Barde, Manget & compagnie, Genève, 1786, Tomo II, par. 862 pagg. 291-292 copia digitale consultabile a questo indirizzo: http://gallica2.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1029499.zoom.f312
Giovanni Bassanesi (Aosta 27 marzo 1905 – Montelupo Fiorentino 19 dicembre 1947) Aviatore, pacifista, intellettuale, pilota dell'aereo che volò su Milano l'11 luglio 1930 gettando volantini antifascisti.
Giovanni Bassanesi 17 anni si diplomò maestro con il massimo dei voti e prese a lavorare come fotografo nel negozio del padre. Espatriò in Francia insofferente del regime fascista nel 1927 con l'intenzione di proseguire negli studi. A Parigi trovò lavoro presso un laboratorio fotografico e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza della Sorbona, entrò in contatto con i fuoriusciti italiani e aderì alla Lega italiana per i diritti dell'uomo. Il 12 novembre 1928 durante la prima del “Piccolo Marat” di Pietro Mascagni lanciò dal loggione volantini antifascisti che fece stampare a sue spese.
Conobbe così Carlo Rosselli e Alberto Tarchiani, noti intellettuali antifascisti. Era affascinato dal volo su Vienna di D'Annunzio: un'azione non-violenta. Malgrado soffrisse il mal d'aria si iscrisse alla scuola di pilotaggio, ottenne i due brevetti necessari per trasportare un passeggero e fu tra i primi a diplomarsi con il metodo “Rougerie” per il volo senza visibilità.
Decollò l'11 luglio 1930 da Lodrino (Canton Ticino) con Gioacchino Dolci, con la missione di gettare i manifestini antifascisti su Milano. Di comune accordo decisero di lasciare a terra i paracadute per ridurre il peso dell'aereo. Poco dopo mezzogiorno raggiunsero Milano ed effettuarono il lancio dei volantini, alle 13,30 a causa del maltempo atterrarono a Lodrino da dove Bassanesi ripartì da solo per attraversare il Gottardo con l'intenzione di raggiungere l'aeroporto di Zurigo. Poco dopo il decollo, a causa del maltempo, l'aereo si schiantò sul Gottardo.
In questa pagina è pubblicata una breve nota biografica su Giovanni Bassanesi.
Gino Nebiolo, L'uomo che sfidò Mussolini dal cielo vita e morte di Giovanni Bassanesi, Rubettino Editore, Soveria Mannelli, 2006
Nella metà del XX secolo si potevano ancora vedere nei pressi del ghiacciaio della Brenva, sopra Courmayeur, degli splendidi campi di cerali a pochi passi dai ghiacci che scendevano dal Monte Bianco. De Saussure stesso ne fu colpito e li descrive così:
"... on voit une chose plus extraordinaire: des moissons de la plus grande beauté, si voisines des glaces, que l'on a peine à comprendre que le même soleil qui dore ces moissons ne puisse pas fondre les glaces qui les touchent. Quand on a ce phénomene sous les yeux, on ne s'étonne pas qu'il soit trouvé des gents qui ayent cru que les glaces des Alpes étoient d'une nature plus réfractaire ou plus difficile à fondre que les glaces communes."
"... si vede una cosa più straordinaria: delle messi bellissime, così vicino ai ghiacci, che si fa fatica a capire come lo stesso sole che indora tali messi non possa fondere i ghiacci che le toccano. Quando si ha questo fenomeno sotto gli occhi, non ci si stupisce che si siano trovate persone che abbiano creduto ghe i ghiacci delle Alpi fossero di una natura più refrattaria o più difficile da fondersi dei ghiacci comuni."
Horace-Bénédict de Saussure, Voyages dans les Alpes, précédés d'un Essai sur l'histoire naturelle des environs de Genève, Chez Barde, Manget & compagnie, Genève, 1786, Tomo II, par. 855 pag. 286 copia digitale consultabile a questo indirizzo: http://gallica2.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1029499.zoom.f307
Dalla tesi di laurea del Prof. Simone Perron risulta che i combattenti valdostani nella guerra civile di Spagna furono in totale 53.
Ben 38 combatterono nelle file fasciste, tra di essi si distinsero Antonio B. medico e medaglia d'oro al valor militare e Joseph M. pilota di caccia e medaglia d'argento al valor militare.
Tutti i 15 valdostani che fecero parte delle brigate internazionali e combatterono in difesa della Repubblica erano precedentemente emigrati in Francia. Anche Auguste Jory, fondatore a Parigi de “La voix des valdôtains”, giornale antifascista stampato dal 1934 al 1936 era residente in Francia e si occupò della compagnia France Navigation e del Comité d'Aide à l'Espagne che sostenevano la causa repubblicana.
Simone Perron, La Valle d'Aosta e la guera civile spagnola, Tesi di laurea anno accademico 2005/2006, Università degli Studi di Torino, pag. 148-161
Dalle tabelle diffuse dal Ministero della Pubblica Istruzione risulta che nel 2007 si sono diplomati con il massimo dei voti 1 alunno su 653 in Valle d'Aosta e 6 alunni su 2885 in Molise, pari a circa il 2 per mille; in Calabria 261 alunni su 21182 hanno ottenuto il massimo dei voti, pari 12 per mille, in Emilia Romagna (273 su 24853) e in Puglia (429 su 38097) sono circa l'11 per mille. Se ne dedurrebbe o che gli studenti valdostani e molisani sono circa 10 volte più somari dei loro compagni calabresi, emiliano-romagnoli e pugliesi o che gli insegnanti della Valle d'Aosta sono circa 10 volte meno capaci dei loro colleghi che insegnano nelle regioni menzionate.
L'albo dei premiati alle competizioni nazionali restituisce un poco di serenità agli abitanti della nostra regione: abbiamo avuto 3 premiati su 124.000 abitanti pari allo 0.002 %, 15 ne ha avuti il Molise con 320.000 abitanti che fa meglio di noi con lo 0.005 %, idem l'Emilia Romagna con 142 premiati su 4.240.000 abitanti pari allo 0.003 %, pari merito la Puglia con 64 premiati su 4.070.000 di abitanti 0.002%, fanalino di coda la Calabria con 21 premiati su 2.006.000 abitanti 0.001 %.
Aspettando i dati relativi al corrente anno scolastico possiamo concludere che 2007 non siamo stati i più somari d'Italia.
Siamo arrivati a Pré Saint Didier con il treno poi siamo saliti al Piccolo San Bernardo sotto la neve, era novembre. Al colle era già notte, siamo scesi in Francia nel buio, facevo strada io, dicevano avessi gli occhi più acuti perché non erano abituati alla luce elettrica: a casa avevamo solo una lucerna.
Sopra Bourg Saint Maurice ci siamo infilati in un fienile, ho trovato il buco da cui si gettava il fieno nella stalla così ci siamo seduti sull'orlo scaldandoci i piedi al calore degli animali. Al mattino il padrone ci ha fatto scendere nella stalla e ci ha offerto del caffè con il vino poi ci ha nascosto tutto il giorno dandoci da mangiare perché se ci pescavano i carabinieri ci rimandavano a casa.
La sera siamo andati in stazione e abbiamo dato i soldi per i biglietti ad una signora che era in regola con i documenti. In treno siamo arrivati a Parigi, ho trovato un paesano, facevamo i frotteur, si pulivano i pavimenti e i vetri. Poi sono andato a raccogliere le barbabietole ...
Testo tratto ed adattato dalla testimonianza di un emigrante valdostano *** nato ad Arnad
nel 1908, in:
Elida Noro Desaymonet, Augusta Champurney Cossavella,
Arnad in Valle d'Aosta più di un secolo di memoria,
Priuli e Verlucca, Aosta 2006, pag. 106
Dipinto murale
a Plau
Diversi valdostani sono profondamente cattolici, alcuni anche buoni conoscitori dei vangeli. Se chiedete loro i nomi dei primi apostoli vi parleranno di Simone e Andrea, fratello di Simone (Marco 2, 16) e Giacomo di Zebèdeo e Giovanni suo fratello (Marco 2, 19). Ma se chiedete loro dei fratelli di Gesù non tutti sapranno citarvi il vangelo di Marco 6, 3 “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”
Vedi anche il vangelo di Giovanni 2,12 7,3 7,5 7,10; San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi 9,5 e nella Lettera ai Galati 1,19.
La canzone "Valdostano medio" ha fatto rizzare i peli sul collo a non pochi valdostani. È stata composta da un ragazzo di soli 17 anni che con grande talento ha composto un testo più che provocatorio che prende in giro alcuni stereotipi della valdostanità.
La canzone è stata apprezzata dai più giovani, molto meno dagli adulti: lo scrittore Parfait Jans, sull'onda emotiva, è giunto a chiedere un'azione giudiziaria nei suoi confronti; la consigliera regionale Adriana Viérin in una lettera agli organi di stampa pur dichiarandosi "un valdostano medio" non si riconosce nella descrizione. E vorrei ben vedere! come si fa a riconoscersi in una caricatura?
Chissà se Luis de Jyaryot, quando trenta anni fa interpretò la canzone Trente an d'otonomia, ricevette la stessa accoglienza.
A riprova che i personaggi citati nella canzone sono puramente di fantasia e sicuramente non si riferiscono alla media dei valdostani vedasi:
la dotta relazione di Gaetano Berruto (Università di Torino) sulla situazione linguistica valdostana: http://www.irre-vda.org/nuovairre/gi_erre_am/deposito/berruto.pdf;
i risultati del questionario della fondazione Chanoux sulle lingue parlate in Valle d'Aosta: http://www.fondchanoux.org/site/pages/sondage_q1.asp
dai quali risulta che poco più dell'1% dei valdostani ritiene il francese sua lingua madre;
la voce 37 di questa pagina dalla quale risulta che la zootecnia è un'attività del tutto marginale nell'economia valdostana.
Valdostano medio di *** in http://www.myspace.com/menesound
Adriana Viérin pag. 66 de "La Stampa" del 6.04.2008
Parfait Jans, Lettre à mes compatriotes N. 17 http://www.jans-aoste.org/lettre_17.pdf
Luis de Jyaryot, Trente an d'otonomia su
http://www.youtube.com/watch?v=ePty0o0oZPI
Gaetano Berruto in: Une Vallée d'Aoste bilingue dans une Europe plurilingue - Una Valle d'Aosta bilingue in un'Europa plurilingue, Ed. Fondation Emile Chanoux, Tipografia Valdostana, Aosta 2003, pag. 44-53
Sessant'anni di pace in Europa hanno fatto dimenticare a molti la bestialità della guerra e le stragi delle seconda guerra mondiale che nei nostri flebili ricordi sono sempre opera del nemico, dello straniero. Ma il verme che divora le coscienze ha colpito anche il soldati italiani, anche quelli valdostani, che hanno compiuto atrocità che è doloroso ma doveroso ricordare, per impedire che (in) altre guerre si ripetano.
“... La nostra prima azione nella Val Gasco, è stata una cosa spaventosa. I nemici avevano preso i nostri come ostaggi, noi dopo averli liberati abbiamo avuto l'ordine di uccidere tutti, fare piazza pulita. Era un paese più piccolo di Verrès e abbiamo ucciso dai grandi ai piccoli, coi lanciafiamme dietro le case e con le mitragliatrici davanti. Quelli che prendevano li mettevano al muro e li fucilavano. Te lo dico in verità perché ero lì, la popolazione non centrava niente, ma l'ordine era quello. ...”
Testimonianza di ***, soldato valdostano, in: Elida Noro Desaymonet, Augusta Champurney Cossavella, Arnad in Valle d'Aosta più di un secolo di memoria, Priuli e Verlucca, Aosta 2006, pag. 32
Casa a Vasir sul sentiero
per l'alpeggio Credemi/Kredemi
A seguire le trasmissioni di Rai 3 regionale sembrerebbe che buona parte dei valdostani passi il suo tempo nei campi, ad allevare bestiame o a dedicarsi alla frutticoltura. In realtà non è così: il Programma Operativo Regionale 2007-2013 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale approvato dalla Regione Autonoma della Valle d'Aosta e dall'Unione Europea fornisce alcuni dati interessanti sulla ricchezza prodotta in Valle.
A pagina 10 si legge che il prodotto interno lordo della valle è dato per il 26% da turismo e commercio e solo per il 1.2% dall'agricoltura (comprensiva di pesca e selvicoltura).
Nel 2004 la produzione agricola valdostana è stata pari a 66 milioni di euro, i formaggi, soprattutto fontina, ne rappresentano i tre quarti; nello stesso anno la regione ha speso per l'agricoltura più di 100 milioni di euro e nel 2008 prevede di investire solo per il programma di infrastrutture per l'agricoltura circa 40 milioni di euro.
Dal rendiconto della Regione Autonoma della Valle d'Aosta per
l'anno 2004:
pagina, numero capitolo, descrizione sommaria, somme pagate nel
2004 (approssimate ai 100.000 euro);
97, 38380, sistemazioni idraulico forestali, 3.500.000; 97, 38950,
vivai forestali e anticendio, 8.900.000; 98, 39700, manutenzione
verde, 1.100.000; 98, 42365, operai del settore agricolo, 1.900.000;
142, 38900, studi selvicoltura, 100.000; 160, 38050, infrastutture
rurali, 5.100.000; 160, 38055, infrastutture rurali, 4.900.000; 166,
38660, incremento patrimonio boschivo, 1.600.000; 166, 38805,
incremento patrimonio boschivo, 200.000; 186, 41260, miglioramento
fondiario, 1.700.000; 186, 41340, miglioramento fondiario, 700.000;
188, 41605, operatori agrituristici, 200.000; 188, 41639, operatori
agrituristici, 100.000; 188, 41710, organizzazione agraria integrata,
200.000; 189, 41720, miglioramento fondiario, 2.200.000; 189, 41725,
miglioramento fondiario alpeggi, 1.200.000; 189, 41730, miglioramenti
aziendali piano di sviluppo rurale, 6.300.000; 189, 41735,
infrastutture rurali piano di sviluppo rurale, 21.800.000; 189,
41740, ricomposizione fondiaria piano di sviluppo rurale, 900.000;
190, 41745, fabbricati rurali, 5.700.000; 190, 41750, sostegno
territori rurali, 200.000; 190, 41755, miglioramento settore
agricolo, 1.000.000; 190, 41760, miglioramento fondiario, 1.100.000;
190, 41765, infrastutture rurali, 100.000; 191, 42000, risarcimento
danni agli agricoltori, 300.000; 191, 42085, contributi per
pubblicità prodotti agro-alimentari, 700.000; 192, 42435,
programmi interregionali agricoli, 700.000; 192, 42440, viticoltura
montana, 100.000; 194, 42780, fiere zootecniche, 600.000; 194, 42790,
anagrafe del bestiame, 300.000; 194, 42815, contributi per interventi
sanitari, 2.800.000; 194, 42840, contributi per miglioramento
genetico, 900.000; 194, 42845, contributi per l'allevamento
zootecnico, 10.900.000; 195, 59620, bonifica sanitaria del bestiame,
100.000; 196, 59640, profilassi e cura delle malattia degli animali,
200.000; 198, 43000, ammortamento prestiti piano di sviluppo rurale
100.000; 198, 43050, misure cofinanziate piano di sviluppo rurale
4.100.000; 198, 43080, programma Leader Plus 700.000; 200, 43710,
contributi per fitopatie 1.300.000; 201, 43990, essiccamento siero
1.900.000; 201, 44020, associazionismo in agricoltura 300.000; 201,
44025, commercializzazione dei prodotti agricoli 1.500.000; 201,
44040, sviluppo della cooperazione agricola 300.000; 201, 44045,
commercializzazione prodotti agricoli e sistemi di qualità
1.700.000; 202, 44050, consorzi di miglioramento fondiario 1.000.000;
202, 46440, vigilanza sugli enti cooperativi 100.000; 202, 46460,
contributi per avvio attività 300.000; 202, 46500, sovvenzioni
agli enti ausiliari 200.000; 203, 46560, contributi agli enti
ausiliari 200.000; 235, 48820, lavorazione prodotti forestali di
scarto 100.000; 279, 30150, funzionamento della fondazione per
l'agricoltura 4.000.000; per un totale di oltre 100 milioni di euro
Utilizzo questo termine, tratto dal libro dell'architetto Claudine Remacle, per definire quegli edifici rurali costruiti nel medioevo che hanno attraversato i secoli arrivando pressoché intatti alle soglie del XXI secolo.
In Valle d'Aosta vi sono ancora costruzioni rurali costruite prima della scoperta dell'America che sono giunte più o meno integre fino a noi ma rischiano, in questi anni di transizione dalla società agricola a quella post-industriale, di scomparire per sempre: il contadino che fino alla seconda metà del XX secolo utilizzava stalle, fienili, casere e cantine non esiste più.
Chi ha raccolto la sua eredità si trova con edifici rurali che non sono più funzionali alla gestione dell'azienda agricola e che sono difficilmente riutilizzabili a causa della loro forma e delle antiche tecniche di costruzione; spesso manca la coscienza che quel brutto muro un poco storto o quel mucchio di tronchi tarlati ha un valore inestimabile dal punto di vista storico e lo avrà anche dal punto di vista puramente monetario quando si svilupperà la coscienza che le vecchie case rurali sono antiquariato e non vecchiume da demolire, portare in discarica o bruciare nel caminetto.
Quante vecchie cassapanche, étagere, tavoli, armadi, sono stati venduti dai nostri nonni ad antiquari astuti per poter comprare la cucina moderna, quella cucina in masonite che pochi anni dopo è passata di moda. E quanti mediatori hanno lucrato sull'ignoranza dei nostri vecchi che non conoscevano il valore di oggetti che per secoli sono stati usati nelle nostre case di montagna ed ora sono esposti nelle case di qualche collezionista o nei musei.
Fortunatamente ora conosciamo il valore storico della nostra architettura rurale. Grazie agli studi di Claudine Remacle e dei suoi collaboratori sappiamo, a volte con estrema precisione, quando sono stati costruiti gli edifici in cui abitavano i nostri avi. E come non lasceremmo una cassapanca del XIV secolo marcire davanti a casa, sotto le intemperie, così occorre intervenire per salvaguardare, se non tutti, almeno gli edifici più antichi o più belli, quelli che un domani faranno la ricchezza della nostra cultura, del nostro paesaggio e dei nostri figli.
Un esempio interessante di questi tesori misconosciuti dell'architettura valdostana è costituito da uno dei pavimenti più antichi che si sia riusciti a datare in Valle d'Aosta; si trova all'interno di una casa all'apparenza anonima, nella frazione Valleil del comune di Torgnon, censita in catasto al foglio 30 mappali 842 e 843.
Appartenne al notaio Augustin Jaccod di Pantaléon e venne edificata nel XVI secolo. Le analisi dendroconologiche condotte su sette campioni hanno rivelato che nella sua costruzione si impiegarono alberi abbattuti tra il 1528 e il 1531.
Le travi riutilizzate nella costruzione dei solai risalirebbero addirittura
all'undicesimo secolo: l'ultimo anello di crescita datato è del 1054.
L'albero però non fu abbattutto in quell'anno.
Visto che manca la parte più esterna del fusto, l'alburno,
che non veniva utilizzata nelle travi in quanto meno resistente della
parte centrale, occorre aggiungere una trentina d'anni a questa data.
Si stima infatti che l'alburno comprenda la trentina di anelli
di crescita più esterni. La data più probabile in cui l'albero venne abbattuto
dovrebbe situarsi intorno al 1084, verso la fine dell'XI secolo.
(1054 ultimo anello datato + 30 parte mancante = 1084).
(Sondaggi del Laboratoire Romand de Dendrochronologie di Moudon 95/R4011).
Sul fronte ovest dell'edificio si nota un architrave in legno di larice sul quale è stato inciso lo stemma sabaudo e una croce patente. Sulla facciata della casa vicina vi sono alcuni affreschi che meritano una citazione nella raccolta di arte alpina valdostana.
Il vecchio fabbricato è pericolante, sarebbe necessario almeno il restauro del tetto, per mettere al riparo uno dei solai più antichi della valle.
Matilde Martinengo, Architettura rurale in Valle d'Aosta Torgnon, Ed. Allemandi, 1998
Claudine Remacle, Vallée d'Aoste une vallée, des paysages, Ed. Umberto Allemandi, Torino 2002
Costruzione del 1354
all'Alpe Prariond
Due pastori savoiardi, secondo la simpatica leggenda raccolta da Alexis Bétemps e pubblicata in internet a questo indirizzo http://rives.revues.org/document116.html (in lingua francese) battezzarono i villaggi di Valgrisenche.
Secondo il racconto di zia Perside Béthaz un toro scappò dalla mandria che pascolava dalla parte francese del Col du Mont e lo valicò inseguito da due pastori.
Si fermò a Seriéi (Surrier) dove i pastori sentendo il vento freddo che scendeva dal colle dissero “Le froid est sérieux” “il freddo si fa serio” poi scese a I Joléye (Les Usulières - Usellières) dove guardando la valle i pastori escalmarono “elle est jolie” “è bella”, la terza tappa fu Tsapì (Chapuis - Chapuy) dove si misero un “chapeau – tsapì” (cappello) poi sempre inseguendo il toro scesero fino a Fornet, il villaggio un tempo sepolto dalla acque della diga dove si scaldarono ad una stufa “fourneau – fornet”.
Dove aver perso di vista il toro lo rividero a Sevèi (Sevey) dove esclamarono“Se vèi - si vede”, raggiunsero Borgar (Beauregard) dove constatarono che vi era un bel panorama “beau regard – bella vista”; a Planté il toro si piantò “s'applanté – piantarsi” poi raggiunse la Béta (La Béthaz) dove i pastori gridarono “la bestia!”.
Nel villaggio di Seré (Ceré - Céré) ai pastori venne offerto del “séras”, un formaggio estremamente magro, rividero il toro in un prato rotondo a Prayón (Prariond) che nel dialetto suona come “Pra orion – prato rotondo”. Il toro ripartì per Ou Revéisse (Le Revers) dove si abbattè al suolo esausto “renversé – abbattere, ribaltare” si alzò per fare ancora un po' di strada fino a la Réissa (Ressaz) “Rètze reitze – mangiatoia” dove si fermò e venne infine raggiunto.
Mentre lo riconducevano alla mandria i pastori ammirarono il pianoro circostante e battezzarono il villaggio Plavá (Planaval) “Plana val - valle piana”.
Alexis Betemps, «Toponymie rurale et mémoire
narrative(Vallée d'Aoste)», in Rives
nord-méditerranéennes, Récit et toponymie,
pubblicato il 21.07.2005. http://rives.revues.org/document116.html.
(URL consultato il 20.10.2013)
Nel 1449 Caterina de Chynal venne accusata dal Tribunale dell'Inquisizione di essere una strega e di aver provocato con i suoi poteri la morte del parroco di Montjovet. Il notaio Pantaleone Mistralis chiese di assumere la sua difesa e venne autorizzato a farlo a patto che si facesse carico delle spese del processo e di custodia dell'inquisita che era sua madre.
Pier-Giorgio Crétier, Notai a Saint-Vincent nel corso dei secoli, Saint-Vincent 2007
Il principale accusatore di Catherine, Pierre Proveschy venne bruciato sul rogo ed in articulo mortis confessò che ogni sua accusa verso Catherine era falsa e menzognera.
Dopo tre interrogatori e quatto sedute di tortura (applicate senza che le fosse causata morte, o mutilazione delle membre o effusione di sangue) Catherine confessò solo la formula che utilizzava per far cicatrizzare le ferite, tale secret, interamente trascritto nella lingua parlata al tempo dà un'idea del patois parlato in Valle d'Aosta alla metà del 1400.
Dopo che il figlio coadiuvato dal canonico della cattedrale Baudouin l'Ecuyer (oggi diremmo il Cavalier Baldovino), assunse la sua difesa, venne condannata il 23 dicembre 1449 alle seguenti pene:
ad abiurare le eresie commesse;
a portare sopra il vestito due croci rosse della lunghezza di un piede, una sul petto ed una sul dorso, (pena condonata);
ad effettuare un pellegrinaggio a Roma entro un anno ed un giorno dall'uscita di prigione;
al bando perpetuo dalla diocesi di Aosta, pena il rogo;
alle spese processuali.
Fatte salva tuttavia la misericordia di Monsignore il vescovo di Aosta.
Felicien Gamba, La sorcière de Saint-Vincent, extrait du XLI Bulletin de la Société académique du duché d'Aoste, Imprimerie ITLA, Aoste, 1964
La Valle d'Aosta è nota per essere la più piccola regione italiana. Delle malelingue affermano che, per ovviare ad un presunto senso di inferiorità, alcuni valdostani si dilettino a dare più nomi ad uno stesso villaggio, ottenendo così lunghi elenchi toponomastici che possono far pensare ad un territorio molto più vasto di quanto non sia.
L'architetto Claudine Remacle, che da anni pazientemente raccoglie e documenta i tesori dell'architettura rurale sparsi in Valle d'Aosta, fornisce la chiave di lettura di alcuni toponimi, variamente trascritti, che in alcuni casi sono diventati cognomi.
BIOLEY, bosco di betulle; CHENEY, querceto; CLUSAZ, chiusa; COMBAZ, vallone; LESSERT, LEXERT, terreno dissodato in comune; LEX, LEY, passaggio stretto tra delle pareti; MARTINET, dove si usava un martinetto, NOVAILLOZ, NOAILLOZ, terreno nuovo; RONC, terreno dissodato.
Claudine Remacle, Vallée d'Aoste une vallée, des paysages, Ed. Umberto Allemandi, Torino 2002
Il Consiglio del Vallese nell'agosto 1554 decise ed ordinò di vietare il commercio ai Grissoneyer (Gressonari) e agli Ayâtzer (abitanti della valle di Ayas) accusati di passare casa per casa a truffare donne, bambini e sempliciotti "da sie von Haus zu Haus ziehen und Weiber, Kinder und einfältiges Volk in der Landschaft betrügen."
Furono naturalmente esclusi dal divieto i commercianti possessori di una bottega in loco e o che avessero trattato merce di buona qualità.
Giovanni Thumiger in: Claudine Remacle, Danilo Marco, Giovanni Thumiger, Ayas uomini e Architettura, Ed. Livres et Musique, Ayas 2000, 2a Ed. 2005, pag. 19 nota 51.
(Estratto dal verbale del Consiglio del Vallese, Walliser Landrats-Abschieder, Band 4 (1548-1565) Sitten, Majora, Mittwoch 29 bis 30 August 1554)
Il notaio Emilio Chanoux, capo della resistenza valdostana e morto in seguito alle torture nazifasciste era di estrazione sociale modesta ma di intelligenza brillante.
Figlio di Pietro, un guardacaccia, e di Elisabetta Carlin, casalinga, all'età di quatttordici anni si rese conto di maneggiare con molta più difficoltà la lingua francese, la lingua dei suoi avi, di quella italiana e di conseguenza si tuffò nel suo studio del francese divenendone l'alfiere.
Diplomato a 16 anni, si laureò in legge a Torino nel 1927, a soli 21 anni. Intraprese la carriera di segretario comunale e per non suscitare sospetti si iscrisse il 21 aprile 1928 al partito nazionale fascista. Nel 1933 partecipò a Roma al concorso notarile e su 369 candidati fu il secondo negli scritti e il settimo negli orali.
Louis Roger Dempsey, La vie et l'oeuvre d'Emile Chanoux, Arti Grafiche Duc, Aosta 1987
Joseph Bréan, Émile Chanoux, Litografia Pesando, Aoste 1994
Paolo di Martino, “lassù i rumori del mondo non arrivano”, Le Château Edizioni, Aosta 2000
Il dolce suono dei flauti e delle cornamuse cullò Gargantua poco prima della nascita, è quanto risulta dal capitolo IV del libro di François Rabelais "Gargantua" edito nel 1542 a Lione.
"Après dîner tous allèrent (pêle-mêle) à la saulaie : et là sur l'herbe drue dansèrent au son des joyeux flageolets et douces cornemuses : tant baudement que c'était passe-temps céleste les voir ainsi se rigoler."
"Dopo cena andarono tutti (mescolati) nel saliceto: e lì sull'erba fitta danzarono al suono dei gioiosi flauti e delle dolci cornamuse: così allegramente che era un passatempo celeste vederli divertirsi così"
Tratto da: François Rabelais, Gargantua, (a cura di Emmanuel Naya), collezione folioplus classiques, Editions Gallimard, Barcellona 2004
Alcibiade paragonava Socrate ai "sileni, esposti nelle botteghe degli scultori, che gli artigiani fabbricano con zampogne e flauti in mano"
Dialoghi filosofici di Platone, Simposio XXXII, a cura di Giuseppe Cambiano, pag. 215, UTET, Torino 1981
Il canonico Georges Carrel, con l'appoggio del deputato Laurent Martinet, predispose il progetto di massima per il tunnel del Menouve che avrebbe dovuto collegare l'Italia con la Svizzera ma i lavori iniziati nel 1856 si interruppero l'anno seguente. Sul lato valdostano vennero scavati 70 metri di galleria, circa la metà su quello svizzero.
Nel 1877 il progettato tunnel italo-svizzero del Menouve era già un ricordo; ecco cosa riporta la “Guide de la Vallée D'Aoste” a proposito:
“... la vallée de Menouve.
Cette vallée a acquis un certain renom depuis qu'il a été question d'y percer un tunnel pour ouvrir une route internationale accessible aux chars entre la vallée d'Aoste et la vallée d'Entremont, en Suisse. Les travaux adjugés ont été commencés sur les deux versants, mais l'on y a renoncé depuis et actuellement il n'est plus question que comme d'un souvenir.”
Tratto da: Gorret Amé - Bich Claude, Guide de la Vallée D'Aoste, Turin 1877
“la valle del Menouve.
Questa valle ha acquisito una certa notorietà da quando fu deciso di scavarvi un traforo per aprire una strada internazionale accessibile ai carri tra la valle d'Aosta e la valle di Entremont, in Svizzera. I lavori furono aggiudicati e cominciarono sui due versanti, ma vennero poi interrotti e attualmente sono solo un ricordo.”
Traduzione di Gian Mario Navillod
Nel 1420 i parrocchiani di Champorcher segnalarono al vescovo di Aosta Ogerio Moriset la condotta libertina del loro parroco. Il sacerdote teneva in casa una signora maritata e condividendo il suo giaciglio aveva messo al mondo due figli.
Il primo giugno 1420 l'interessato venne convocato a Bard e ammise davanti al rappresentante del vescovo la fondatezza della denuncia: da quattro anni viveva con Bertola, legittima sposa di Aimoneto Martignono di Bard e da questa relazione erano nati un figlio e una figlia.
A sua parziale discolpa il parroco aggiunse che il marito era consenziente, prova ne era il fatto che di tanto in tanto saliva a Champorcher a rendergli visita.
Roberto Nicco, La valle di Champorcher pag. 35, Musumeci Editore, Aosta 1987
Nel 1857 Leone Tolstoj, l'autore di Guerra e Pace, attraversò la Valle d'Aosta diretto in Svizzera. Aveva allora 29 anni, in soli quattro giorni percorse la Valle d'Aosta da Pont Saint Martin al colle del Gran San Bernardo con un unico cruccio: niente donne!
Arrivò a Pont Saint Martin il 17 giugno verso sera accompagnato da Vladimir Botkin, vi passò la notte e il giorno dopo salì a dorso di mulo fino a Gressoney dove pareva vi fossero delle bellezze. Passò per Perloz e fu accompagnato da un'allegra guida tedesca (è possibile che si trattasse di un valdostano di lingua Walser. NdR). A Gressoney incontrò una serva gigantesca, le diede 5 franchi e l'aspettò inutilmente fino a mezzanotte. Annotò poi nel suo diario “pare che non sia una p.”.
Il 19 giugno scrisse due pagine de “I cosacchi” e salì fino a Gressoney La Trinité.
Il 20 giugno partì alle sei del mattino diretto a Chambave. Salì al Colle Ranzola dove una targa ricorda il suo passaggio, incontrò “un bel ragazzo che canta” e un padrino e una madrina di battesimo. Scese a Brusson attraversò il Colle di Joux e arrivò a Saint Vincent dove oltre alle acque minerali e al Casinò annotò la presenza di una “tabaccaia bellina”. In serata raggiunse Chambave dove dormì.
Domenica 21 giugno non avendo trovato posto sulla diligenza raggiunse Aosta su di un carro scoperto. Prese un bagno, visitò le antichità romane poi proseguì verso Saint Rhémy dove quel giorno in un fienile si ballava. Raggiunse l'Ospizio del Gran San Bernardo in serata dove gustò un'ottima cena; fuori dalle sue mura accoglienti regnavano nebbia e freddo.
Piero Cazzola e AA.VV., Les Voyageurs étrangers et le Val d'Aoste, Centro Interuniversitario di Ricerche sul Viaggio in Italia, Edizioni Slatkine, 1983
Antefatto: nel 1964 Severino Caveri venne eletto presidente della giunta regionale a capo di una maggioranza di centro sinistra. Alle elezioni amministrative del 1965 al comune di Aosta la Democrazia Cristiana superò il Partito Comunista Italiano e in attesa del congresso del Partito Socialista Italiano venne eletto Dolchi (PCI) alla carica di sindaco. Dopo il congresso benchè messo in minoranza il Sindaco rifiutò di dimettersi.
Nel gennaio 1966 il PSI mise in minoranza il governo regionale, DC e PSI chiesero al presidente della giunta regionale la revoca del sindaco di Aosta ma Caveri reagì commissariando il consiglio comunale e indicendo nuove elezioni. DC e PSI ricorsero alla corte giurisdizionale che annullò la decisione di Caveri. Dolchi si dimise e il governo italiano presieduto da Aldo Moro commissariò la regione. Severino Caveri non convocò il consiglio regionale e il 17 e 18 maggio 1966 i 19 consiglieri della nuova maggioranza trovarono le porte del consiglio regionale chiuse con il fil di ferro.
In conseguenza di ciò il vicepresidente del consiglio regionale che si trovava all'interno del palazzo venne condannato a 7 anni di reclusione per attentato agli organi istituzionale e dovette riparare in Jugoslavia.
L'Abbé Cerlogne, autore della canzone dialettale Imitation de la Marseillaise, fu non solo prete e poeta ma anche coltivatore, vinificatore e... distillatore. Nulla di strano perciò che la legge che eliminava l'esenzione dalla tassa di distillazione per i proprietari dei fondi coltivati a vite lo pungesse nel vivo. Illuminante in proposito la lettera del Prof. Zuccaro scritta a Novara il 21 gennaio 1888 e citata da René Willien nel suo libro dedicato a Cerlogne.
“Mon beau-père et mon beau-frère (lequel habite à Milan mais il est venu me trouver et a essayé un petit verre de votre excellente eau-de-vie), désirant avoir, si possible, deux litres chacun de votre eau-de-vie, me chargent de vous prier de m'en envoyer un peu, afin que je la leur remette.
Je vous adresse donc prière de vouloir bien m'envoyer une demi douzaine de litres de cette liqueur ... “
“Mio suocero e mio genero (che abita a Milano ma è venuto a trovarmi e ha assaggiato un bicchierino della vostra eccellente grappa) desiderando avere, se possibile, due litro ciascuno della vostra grappa, mi incaricano di pregarvi di inviarmene un poco, affinché gliela rimetta.
Vi prego dunque di volermi inviare una mezza dozzina di litri (sic) di questo distillato ...”
La prima notte da resistente venne passata dal comandante Bert, il tenente Andrea Pautasso, nel villaggio di Campleval di mezzo, ospite di una signora di modeste condizioni economiche ma ricca di spirito. Il comandante Bert ne ha lasciato traccia nel suo diario ricordandola con rispetto e riconoscenza, dalle sue righe emerge la sorpresa nello scoprire le condizioni di vita dei contadini valdostani nel 1943.
“... avrà varcato da poco la cinquantina, è vestita di scuro come tutte le montanare, porta gli zoccoli ed in testa un fazzoletto nero. Ci fa subito entrare perché ci possiamo asciugare vicino alla stufa e si scusa timidamente, pregandoci di “adattarci”, ma è l'unico posto caldo.
È un vano spazioso adibito a cucina, con una stufa in ghisa ed alcuni mobili di fattura rustica modestissimi: una dispensa, due panche, una sedia, un piccolo tavolo appoggiato al muro nell'angolo tra le due finestre ... In fondo nella penombra si intravede l'impiantito sopraelevato, la greppia e numerosi scomparti della stalla, occupata ora da un solo vitello. Se non avessimo aguzzato gli sguardi attraverso la penombra, non ci saremmo mai accorti dell'esistenza della stalla poiché l'olfatto non ne avverte la presenza. Tutto è lindo ed ordinato, il pavimento è netto e i vetri tersissimi, la stessa stalla ove non si trova alcuna traccia di letame perché di volta in volta viene accuratamente asportato. ...
La loro cena è pronta, ma accanto alle loro due scodelle (della Signora e del figlio NdR) ne vediamo allineate altre due: quelle, che con gesto timido, la madre offre a noi scusandosi di non poter offrire altro di meglio che la loro cena. La loro cena consiste in una scodella di minestra: un brodo scuro di patate e fave sul quale occhieggia timidamente qualche traccia di burro. ...
Questa contadina è abbonata a “La Stampa” e leggeva con particolare gusto ... la “terza pagina”, fino a quando è esistita. Ha seguito in particolare gli articoli di Filippo Burzio e mostra di averli capiti perché ripete assai a proposito alcune considerazioni. ...”
Tratto da: Giocondo Falcoz, Andrea Pautasso, Origini e vicende della formazione partigiana autonoma valdostana “Vertosan” 1943-1945, Tipografia Parrocchiale di Issogne, Issogne 1989.
Il borgo di Antey
visto dal sentiero per Villettaz
Fino sedicesimo secolo, quando iniziò ciò che gli studiosi di climatologia storica hanno definito la piccola età glaciale, si teneva ad Antey un'importante fiera frequentata anche gli svizzeri di Praborne, l'attuale Zermatt, che vi si recavano attraverso il colle del Teodulo. Dove oggi vi sono solo ghiacci e impianti di sci in età romana e nel medievo passava un'importante via di comunicazione tra il Mediterraneo e il Mare del Nord.
Dalle ricerche di Enrico Tognan e Alessandro Liviero risulta che alcuni abitanti di Zermatt pagarono una multa di 7 fiorini e mezzo per i furti commessi alla fiera di Antey.
Archivio di Stato di Torino, Inv. Folio 63, mazzo 1-3, "banna concordata" "Recepit ab Anthonio de Charlo solvente pro et nomine cuiusdem teotonici de Prabor per quod furto per eum commisso in nundinibus de Anthey, VII floreni et dimidium bonis ponderis".
Il signore di Cly "ricevette da Anthonio de Charlo a nome e per conto dei tedeschi di Zermatt per i furti da essi commessi alla fiera di Antey 7 fiorini e mezzo di buon peso"
Enrico Tognan, Alessandro Liviero, Alamans: elementi per una storia della colonizzazione Walser in Valle d'Aosta, Le Château Edizioni, Aosta 2003
Nel febbraio del 1188 John de Bremble,un frate inglese di Canterbury in viaggio a Roma passò il Gran San Bernardo e scrisse al priore Geoffrey le sue impressioni: “dove il terreno è solo ghiaccio e non si può camminare senza pericolo ... trovai il calamaio coperto dal ghiaccio, le mie dita si rifiutarono di scrivere e il mio respiro era gelato in un lungo ghiacciolo.”
Piero Malvezzi, Viaggiatori inglesi in Valle d'Aosta, ed. Lampi di stampa, Milano 2003
F. Gribble, The early Mountaineers, Ficher & Unwin, London, 1899
W.A.B. Coolidge, Swiss Travel and Swiss-Guide Book, Longmans Green & Co., London 1889
Il Capitano Giuseppe Lamberti venne inviato in Russia per punizione quando, comandante della sesta compagni AUC (Allievi Ufficiali di Complemento), rifiutò di promuovere un gruppo di allievi pesantemente raccomandati da Roma.
Era stato comandato di non sottoporli a marce che comportassero più di 500 metri di dislivello: dopo un appropriato allenamento fece fare loro la Aosta-Becca di Nona (3142 m) senza provocare decessi, raccontava Lamberti, ma facendo camminare anche i moribondi. Al termine della preparazione, nell'ultima adunata di Courmayeur, bocciò con un 2 in attitudine militare i più lavativi, voto che “neanche il vostro amato duce vi potrà togliere” ne seguì un esposto al duce e sette giorni di arresto di rigore comminati direttamente dalla segreteria militare di Mussolini. Ultimo comandante del Battaglione Cervino fu ferito e preso prigioniero in Russia da dove ritornò il 22 agosto del 1946.
A causa delle sue denunce sulla vergognosa conduzione della campagna di Russia, sulla scarsa moralità di alcuni ufficiali e sullo scandalo dei soldati morti nella steppa che per lo stato italiano risultarono per lunghi anni dispersi, venne degradato e cacciato dall'esercito. Alla inchiesta disciplinare interna che lo giudicò colpevole non prese parte nessun ufficiale degli alpini: tutti i suoi commilitoni avevano rifiutato tale infamante incarico.
Giuseppe Lamberti, Gianni Bertone, Giorgio Rochat, Giuseppe Lamberti alpino ribelle, EGA Editore, Torino 2006
Anticamente l’accesso alla Valtournenche da Châtillon avveniva attraverso da tre mulattiere principali: la prima detta delle “rovines” partiva dal borgo di Chameran e risaliva la destra orografica della valle.
Le altre due salivano alla frazione Conoz del comune di Châtillon poi si dividevano. Quella alta, ai giorni nostri ancora pressoché intatta e in parte descritta in questo sito, saliva al villaggio di Promiod. Quella bassa si dirigeva in piano verso il torrente Marmore, lo attraversava nei pressi dell’attuale frazione di Champlong, poi proseguiva unendosi al ramo che saliva da Chameran fino al borgo di Antey e oltre.
Di questa importante via sono visibili solo brevissimi tratti, la maggior parte è scomparsa sotto il manto di asfalto della carrozzabile per Cervinia. Era detta dei lombardi perché usata nella transumanza dai pastori che portavano le greggi dalla pianura padana ai pascoli dell’alta Valtournenche.
Archives historiques régionales d’Aoste, Fonds Challand, volume 93, docc. 1 e 4
Enrico Tognan, Alessandro Liviero, Alamans ..., Le Château Edizioni, Aosta 2003
Fino al 1839 quello che ora chiamiamo Monte Emilius si chiamava “Pic des 10 heures”, picco delle dieci.
In quell'anno il canonico Georges Carrel salì sulla cima in compagnia di Emilie Argentier, allora quattordicenne, che divenne in seguito madre del dottor Anselme Réan, noto intellettuale valdostano. In suo onore la montagna venne ribattezzata Monte Emilius.
Il toponimo, grazie all'autorevolezza del canonico Carrel, entrò presto nell'uso comune e fu utilizzato per la prima volta nella cartografia ufficiale nel 1852 nel foglio XXX della Gran Carta degli Stati Sardi.
Ai piedi di questo monte si vede ancor oggi quanto rimane del ghiacciaio di Arpisson. Sul finire del 1700 Horace-Bénédict de Saussure, durante uno dei suoi viaggi nelle Alpi, lo notò e ne fece cenno nella sua opera perchè era l'ultimo ghiacciaio visibile percorrendo il fondovalle da Ivrea ad Aosta.
“ A demi-lieu de la Cité, nous remarquâmes au midi, de | Amezza lega dalla città , rimarcammo a mezzogiorno, dall'altra |
l'autre côté de la Doire, une haute montagne, dont la cime | parte della Dora, una alta montagna, la cui cima |
est couverte de neige, & de laquelle descend un petit glacier, | è coperta di neve, e dalla quale scende un piccolo ghiacciaio |
le dernier que l'on voie sur cette route en allant en Italie. ” | l'ultimo che si veda su questa strada andando in Italia. |
Traduzione di Gian Mario Navillod |
Horace-Bénédict de Saussure, Voyages dans les Alpes,
précédés d'un Essai sur l'histoire naturelle des
environs de Genève, Chez Barde, Manget & compagnie,
Genève, 1786, Tomo II, par. 958 pag. 394 copia digitale consultabile a questo indirizzo:
http://gallica2.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1029499.zoom.f312
Gorret Amé - Bich Claude, Guide de la Vallée D'Aoste, Turin 1877
Abbé Henry, L'alpinisme et le clergé valdôtain, Imprimerie catholique, Aoste 1905
Vincenzo Réan, Monte Emilius: invenzione di un nome, Pagine della Valle d'Aosta n. 3, dicembre 1997
Carla Fiou, Daria Jorioz, Georges Carrel, Le Château Edizioni, Aosta 1999
“Le 20 juillet je partais de Châtillon en compagnie de deux amis pour la pointe Barbeston que l'on voit si bien de Châtillon et de Saint Vincent et dont le nom pourtant est ignoré de tous de la vallée d'Aoste, car on l'appelle à Châtillon Pointe de Douze Heures, à Saint Vincent Pointe de Deux Heures, et a Pontey Pointe des Cimes-Blanches.
Ces différences de noms devraient bien disparaître une bonne fois pour ne pas exposer aux inconvéniants si fréquents de pays à pays. (1)”
“Il venti luglio partivo da Châtillon in compagni di due amici per la cima Barbeston che si vede così bene da Châtillon e da Saint Vincent e il cui nome è tuttavia ignorato da tutti in Valle d'Aosta, perchè a Châtillon la si chiama Punta delle Dodici, a Saint Vincent Punta delle Due, e a Pontey Punta delle Cime Bianche.
Queste differenze di nomi dovrebbero sparire una volta per tutte per non incorrere negli inconvenienti così frequenti da paese a paese. (1)”
A più di 130 anni di distanza la questione del Barbeston, come caldeggiava il Grand Gorret, s'è risolta. Ma ora che questa montagna è conosciuta in tutta la valle, sia a Châtillon che a Saint Vincent e a Pontey, un nuovo problema angustia gli escursionisti che non abbiano fatti studi approfonditi sulla toponomastica valdostana.
Come si chiama il bellissimo lago formato da una diga che si incontra salendo da Valtournenche al rifugio Perucca-Vuillermoz?
Nel mio dialetto è zeugnanna, il mio amico esperto di sentieri di Valtournenche, il comune nel quale si trova il lago, pronuncia pressochè gli stessi suoni, le cartine della Comunità Montana Monte Cervino e dell'IGC, riportano Cignana, il libri di Sergio Piotti, Pietro Giglio, Luca Zavatta, confermano pari pari questo toponimo, anche la carta catastale, che non brilla per precisione toponomastica attesta Cignana, ma sulla carta ufficiale della regione cosa compare? Tsignanaz!
Con un colpo di penna qualche funzionario regionale ha d'un tratto complicato la vita ai turisti che vengono a visitare questa valle. Come può intuire un viaggiatore che arriva da Firenze o da Parigi che per arrivare al lago di Cignana, di cui ha letto fior di descrizioni, deve seguire le indicazioni per Tsignanaz? In questa tabella, a disposizione dei signori turisti si trovano alcuni esempi di toponimi equivalenti.
(1) Amé Gorret, Ascension au Mont Giron (Vallée d'Aoste), C.A.I. n. 20 pp. 339-340, 1873
(1) Abbé Amé Gorret, Autobiographie et écrits divers pag. 152, Administration Communale de Valtournenche, Turin 1987
Traduzione italiana di Gian Mario Navillod
Quanto è alto il rifugio Mezzalama? 3009.38 metri per la cartografia ufficiale della Regione, 3004 metri (1) per Luca Zavatta, l'unica persona che ha percorso tutti i sentieri della Valle d'Aosta, 3036 metri (2) per Alessandro Mezzavilla e David Pellissier guide alpine valdostane, 3004 metri (3) per Cosimo Zappelli e Pietro Giglio, guide alpine e scrittori di montagna.
Come si vede i pareri sono discordi e la questione dal punto di vista dell'escursionista è poco rilevante.
Della salita al Mezzalama si ricorda il Pian di Verra, un bellissimo pianoro coperto d'erba verde brillante, il Lago Blu di Verra con il suo intenso colore turchese, l'impressionante morena lasciata dal ghiacciaio che è una delle più imponenti della Valle d'Aosta, i ghiacciai che circondano il rifugio e i seracchi azzurrognoli che si vedono poco più in alto. Non si ricorda di certo la quota esatta raggiunta, magari maggiorata da tre metri in più se si è saliti sino al primo piano del rifugio o di cinque se si è dormito nel letto a castello più alto.
Anche dal punto di vista della fatica prevista, visto che in montagna il dislivello si traduce spesso in tempo di percorrenza, una differenza di qualche decina di metri non è significativa. In media si percorrono circa 350 metri all'ora di dislivello, che corrispondono a circa 6 metri al minuto, la differenza che passa tra indicare 349 m anzichè 350 è di circa 10 secondi di percorrenza, quella tra 345 m e 350 è di poco meno di un minuto, nel caso estremo di un'approssimazione di 9 metri la differenza continua ad essere inferiore ai due minuti di marcia.
Le quote rilevate con gli altimetri tradizionali, quelli barometrici, o con i nuovi sitemi GPS, subiscono oltre all'errore dovuto all'imprecisione dello strumento anche quello che nasce dal metodo utilizzato per eseguire la misura: all'atto della rilevazione lo strumento era appoggiato a terra? Si è tenuto conto della distanza tra lo strumento e la terra? Vi era uno spessore di neve all'atto della misura?
Per non dare luogo a lunghe e inutili discussioni sulle quote, diversi itinerari di questo sito hanno le indicazioni altimetriche seguite da “circa”. Non si stupiscano perciò i lettori se troveranno piccole differenze di altimetria, spesso è solo questione di approssimazione. Anche se fosse questione di alcune decine di metri ciò non toglierà nulla alla bellezza del camminare in montagna.
In questa pagina, a disposizione dei signori turisti alle prese con dubbi relativi alle quote, si trova una piccola raccolta di opinioni differenti sulla posizione altimetrica di porzioni del territorio valdostano.
(1) Luca Zavatta, Le Valli del Monte Rosa, ed. L’Escursionista, 2002
(2) Alessandro Mezzavilla, David Pellissier, Orizzonti Bianchi, Martini Multimedia Editore, Saint Vincent, 2004
(3) Cosimo Zappelli, Pietro Giglio, Rifugi e Bivacchi in Valle d'Aosta, Musumeci editore, Aosta, 1991
Pagine dedicate all'Abbé Amé Gorret detto il Grand Gorret:
La chanson du Grand Gorret
Lago di Lod (Lot) di Antey
Grand Tournalin
Nel fascicolo intitolato Noël et la messe de minuit à Châtillon, stampato nel 1888, Tancredi Tibaldi riporta questa curiosa usanza:
“Les dernières paroles du second évangile sont à peine achevées que les troubadours champêtres entonnent un nouveau cantique, qui, chose ètrange, est fait non de la langue des Valdôtains, mais de la patrie du Cyd Campéador. Ce cantique est un villancico, ou un chant des villageois; c’est une pastorella de l’Ibérie. … Mais comment un de ces chants a-t-il pénétré dans la terre valdôtaine? Personne ne sait le dire. Les jeunes gens qui le savent l’ont appris de leurs aïeules ou bisaïeules; ces dernières pourraient peut-être nous fournir quelques renseignements; mais comment les interroger?”
“Le ultime parole del secondo vangelo sono appena finite che i trovatori delle campagne intonano un nuovo cantico, che, cosa strana, è cantato non nella lingua dei valdostani ma in quella della patria del Cyd Campeador. Questo cantico è un villancico, un canto di popolani; una pastorale iberica. … Ma come ha fatto uno di questi canti a insediarsi in terra valdostana? Nessuno lo sa dire. I giovani che lo conoscono l’anno appreso dai loro avi o dai loro bisavoli, questi ultimi potrebbero forse fornirci qualche informazione a riguardo ma come chiedergliela?”
Nello stesso opuscolo che descrive lo svolgimento della messa di mezzanotte a Châtillon Tancredi Tibaldi riporta due canti che si trovano su questo sito alla pagina dedicata al canto natalizio D'où viens-tu, belle bergère
Tancredi Tibaldi, Noël et la messe de minuit à Châtillon, Imprimerie Louis Mensio, Aoste, 1888
Nell'antichità greca le note musicale non avevano nome, si usavano semplicemente le lettere dell'alfabeto, alfa, beta, gamma come accade ancor oggi nel mondo anglosassone dove si utilizzano le prime sette lettere: a, b, c, d, e, f, g.
Il grosso vantaggio di questo metodo è la coincisione, A è più corto di La e G è più corto di Sol, e la semplicità: anche un profano di musica sa subito individuare che la nota compresa tra A (La) e C (Do) è B (Si) perché siamo abituati ogni giorno ad usare l'alfabeto e ad ordinare le sue lettere. Chiedere invece quale nota precede il MI (E) presuppone lo studio della scala ascendente e discendente ed è con più fatica che si arriva a dare la risposta giusta: RE (D).
Perché dunque il monaco Guido d'Arezzo (995-1050) all'inizio del secondo millennio cambiò nome alle note complicando la vita ai musicisti latini?
Guido d'Arezzo fu un grande pedagogo, per insegnare ai suoi allievi ad intonare correttamente le sei note che si usavano allora prese un inno gregoriano conosciuto da tutti, molto in voga in quei tempi, l'inno a San Giovanni, che era un po' come l'inno di Mameli oggi in Italia, e notando che la prima sillaba di ogni verso era cantata su una nota differente e che tutte insieme formavano una scala ascendente lo utilizzò come artificio mnemonico.
Ogni cantore sapeva a memoria la melodia: e di conseguenza sapeva a che altezza cantare la prima sillaba del secondo verso, Re che corrisponde al D, quella del terzo, Mi che corrisponde ad E e così via. Fu così che grazie a questo trucco per facilitare il canto la sillaba che contiene la nota soppiantò poco a poco nell'uso il nome della nota stessa creando tante complicazioni ai latini che si avvicinano alla musica.
UT(*) queant laxis
REsonare fibris
MIra gestorum
FAmuli tuorum
SOLve polluti
LAbii teatum
sante Joanne (**)
(*) nel 1600 la sillaba UT venne sostituita dal DO
(**) manca il SI che all'epoca non veniva utilizzato
Il 4.07.1886 venne inaugurata la ferrovia Ivrea Aosta. Si viaggiava da Aosta a Chivasso in 3 ore e 17 minuti; quasi cinquant'anni dopo, con l'entrata in funzione sulla linea Aosta Torino della nuova motrice, la Littorina, (1.02.1934) si ridusse la durata del viaggio a 2 ore e 20 minuti. Malgrado siano passati 70 anni da allora la situazione non è migliorata di molto: per recarsi da Torino ad Aosta nel 2006 si impiegano dalle 2 ore alle 2 ora e mezza a seconda del convoglio prescelto.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Il 22 aprile 1906 venne redatto l'atto costitutivo della società per la costruzione del Grand Hôtel Billia che venne inaugurato il 5 giugno 1908.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Queste le principali fasi che portarono alla sua realizzazione:
Il 10.02.1913 costituzione a Milano della Società anonima per
trazioni ed esercizi elettrici nella Valle d'Aosta che si proponeva la
costruzione della ferrovia Aosta Pré Saint Didier;
Il 27.04.1926 assemblea ad Aosta di sindaci e rappresentanti di varie
associazioni a favore della ferrovia Aosta Pré Saint Didier,
progettata dell'ing. Manara per conto dell'Ansaldo-Cogne;
Il 27.04.1926 assemblea ad Aosta per formare un comitato a favore
della ferrovia Aosta Pré Saint Didier;
Il 4.04.1927 decreto del governo per la costruzione della ferrovia
Aosta Pré Saint Didier;
Il 28.10.1929 inaugurazione della ferrovia Aosta Pré Saint
Didier.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Il 18.07.1903 Maurice Garin, nato nel 1871 ad Arvier (AO), emigrato in Francia nel 1885, vinse il primo Tour de France.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Nel marzo 1902 il tribunale di Aosta condannò a tre mesi di carcere e 300 lire di ammenda un trafficante di carne umana che acquistava a Chambave, dai genitori poveri, i bambini e li conduceva all'estero per avviarli al mestiere di spazzacamino. Secondo i giornali locali di molti bambini valdostani si era persa ogni traccia.
Il 7.11.1902 in una lettera di Louis Paillex, corrispondente da Parigi di “Le Mont Blanc” si denunciava la tratta degli schiavi in Valle d'Aosta. In autunno i mercanti di schiavi compravano per pochi soldi in valle i bambini da avviare la mestiere di spazzacamino in Francia e Belgio dove la maggior parte deperiva nella miseria e nel dolore.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Fino a pochi anni or sono tutte le enciclopedie riportavano quale inventore del telefono il signor Alexander Graham Bell, riconosciuto erroneamente tale dopo le lunghe vicende legali che lo opposero al Signor Antonio Meucci.
Nel 2002 il Congresso americano riparò all'errore fatto riconoscendo la paternità dell'invenzione a Meucci che la realizzò nel 1871.
Peccato che nel 1865 (29 giugno 1865) sull'Indépendant, giornale pubblicato ad Aosta si riportasse la notizia che “Il signor Vincenzo Manzetti ... ci ha informati di un'applicazione assai sorprendente del filo telegrafico. Dei suoni prodotti da una apparecchio alla stazione di partenza possono riprodursi alla stazione di arrivo; per mezzo di questo strumento si potrà un giorno parlare da Aosta a Torino ...”.
La notizia fece così scalpore che un mese più tardi, sul settimanale "Feuille d'Aoste" del 22 agosto 1865, si scriveva così:”Alcuni meccanici inglesi, ai quali il signor Manzetti ha recentemente svelato il suo segreto per trasmettere la parola per mezzo del filo telegrafico, si propongono di applicare questa invenzione ai telegrafi privati, l'uso dei quali è molto diffuso in Inghilterra ...”.
(estratti dal sito http://www.innocenzomanzetti.it/index.html)
Joseph Rivolin, Espace temps culture en Vallée d'Aoste pag. 137, IRRSAE Vallée d'Aoste, Aoste 1996
Mauro Caniggia, Luca Poggianti, Il valdostano che inventò il telefono, Centro Studi De Tillier, Aosta 1996
Andrea Zanotto, Romano Lavevaz, Innocent Manzetti dans le centenaire de sa mort, 49° Bulletin de l'Académie de
Saint-Anselme, Imprimerie Valdôtaine, Aoste 1979
Tancredi Tibaldi, L'inventore del telefono, Innocenzo Manzetti di Aosta, Roux Frassati & C. , Torino 1897
Le Patriote di Aosta febbraio marzo 1884
Settimanale Feuille d'Aoste 19 dicembre 1865
Settimanale Feuille d'Aoste 22 agosto 1865
Settimanale L'Indépendant di Aosta 29 giugno 1865
Antica fornace di calce
a La Magdeleine
Antica fornace
ad Arla di Arnad
Antica fornace di calce
a Mont Mené di Valtounenche
Risalendo la Valtournenche, poco prima del cartello che indica il limite del comune di Châtillon si nota sulla destra un'alta torre di mattoni rossi con due alberi cresciuti sulla cima.
Questa costruzione non era destinata ad accogliere guarnigioni o popolazioni assediate ma era semplicemente l'ultima evoluzione delle numerose fornaci di calce che si trovano lungo i sentieri della Valtournenche.
Nei dintorni di Antey ve ne sono almeno quattro:
la prima che è parzialmente crollata si trova sull'itinerario La Magdeleine-Tantané, poco prima dell'alpe Chancellier,
la seconda, meno riconoscibile ma segnalata sulle cartine di Luca Zavatta, è stata costruita sul colletto che separa l'ospizio di Chevacour dall'aria umida di Loditor di Torgnon, la si intravede ai piedi di un larice sulla destra salendo verso i ruderi dell'ospizio,
la terza, raggiungibile con un poco più di fatica è a monte dell'alpeggio di Perteille, di Torgnon lungo il sentiero che sale da Chesod a Clonge,
la quarta, ottimamente conservata si trova a circa 1700 metri di quota, una decina di metri a valle del sentiero che congiunge Mont Mené a Falegnon di Valtournenche; ha un diametro interno di circa 2 metri.
Antica fornace di calce
a Chavacour/Chevacour di Torgnon
Interno della fornace di calce
all'alpeggio Plaisant di Nus
Bocca di alimentazione della fornace
di calce all'alpeggio Plaisant di Nus
Una fornace di calce in ottime condizioni di manutenzione si trova sul sentiero che porta al santuario di Cunéy, proprio all'interno del tornante a valle dell'alpeggio Plaisant di Nus, a circa 2000 metri di quota.
Un'altra fornace di calce si incontra sul sentiero che porta al villaggio di Valbounu di Issime, a circa 1350 metri di quota.
Di queste vecchie fornaci resta riconoscibile la parte interna della muratura che è di colore bianco, l'esterno è solitamente colonizzato dalla vegetazione e difficilmente lo si distingue da un muro di recinzione o da un mucchio di sassi.
Esse sono relativamente comuni perché per la fabbricazione della calce occorrevano due materie prime che nei boschi della Valtournenche non sono rare: del calcare, ossia quelle pietre di colore chiaro che danno il nome alle Cime Bianche e che milioni di anni fa si sono formate dai depositi organici precipitati nel mare che separava l'Africa dall'Europa e del combustibile, il legno, di cui erano ricche le foreste della valle.
La reazione chimica che dà origine a questo legante è relativamente semplice.
Bocca di alimentazione della fornace
di Valbounu di Issime
Fornace di calce
di Valbounu di Issime
Una molecola di calcare la cui formula chimica è CaCO3 è formata da un atomo di calcio, Ca, uno di carbonio, C, e tre di ossigeno O3. Portandola ad una temperatura vicino ai 1000 °C all'interno della fornace perde una molecola di anidrida carbonica CO2 e si trasforma in calce viva CaO perdendo quasi la metà del proprio peso, per la precisione il 44%.
Le zolle di calce viva a contatto con l'acqua reagiscono violentemente liberando calore (tale proprietà è sfruttata per confezionare i recipienti usa e getta per bevande calde che si usano in montagna) e legandosi con una molecola d'acqua (H2O) diventano idrossido di calcio, calce spenta, la cui formula chimica è Ca(OH)2: ad ogni atomo di calcio Ca si legano due atomi di ossigeno O e due di idrogeno H. Questo prodotto, al contrario del cemento, se conservato in acqua non si rapprende, ma come tutti i leganti aerei ha bisogno dell'aria per completare la sua trasformazione chimica.
Venendo a contatto con l'anidride carbonica presente nell'atmosfera CO2 acquista una molecola di CO2 e ne perde una di acqua H2O che si libera sotto forma di vapore secondo questa formula Ca(OH)2+CO2=CaCO3+H2O e ridiventa calcare.
L’Escursionista Editore – Carta dei sentieri 7 – Valtournenche Monte Cervino Val d'Ayas ovest – scala 1:25.000
In Valle d'Aosta, vi sono delle grandi differenze di piovosità. Se si vuole evitare la pioggia meglio frequentare il fondovalle nei dintorni di Saint Marcel dove cadono in media 500 mm di pioggia l'anno.
Se si preferisce stare all'umido basta spostarsi al colle del Gran San Bernardo dove ne cadono nello stesso periodo 2000 mm.
A titolo di confronto si pensi che a Casablanca (Marocco) cadono 460 mm di pioggia l'anno e a Puket (Thailandia), a metà strada tra il tropico e l'equatore, si arriva a quasi 1800 mm l'anno.
Il 2 febbraio 1910 fu costituita a Pont Saint Martin una società per installare un tramway elettrico lungo la valle del Lys (Gressoney). Si prevedeva una spesa di 1.400.000 lire, il capitale iniziale fu fissato in 1.000.000 di lire, diviso in azioni del valore di 50 lire
Nel 1916 la società Ernesto Breda sottopose al comune di Gressoney Saint Jean il progetto per una ferrovia elettrica a scartamente ridotto che risalendo la valle del Lys avrebbe collegato Pont Saint Martin a Gressoney Saint Jean.
Malgrado le numerose riunioni tra i rappresentanti dei comuni interessati alla linea (per il comune di Gressoney Saint Jean fu all'uopo delegato il geom. Antonio De La Pierre) e gli emissari della società l'opera non venne mai realizzata.
Unica testimonianza di questa opera audace è il fabbricato conosciuto come La Remisa, costruito tra il torrente e la strada principale, poco prima del museo di Gressoney, come stazione della linea ferroviaria che avrebbe collegato la valle del Lys a Pont Saint Martin.
Marco Cuaz, Paolo Momigliano Levi, Elio Riccarand, Cronologia della Valle d'Aosta 1848-2000, ed. Stylos, Aosta 2003
Alberto Maiocco, Ville e dimore a Gressoney tra Ottocento e Novecento, Centro Studi Walser, Aosta 2001
“ la plupart constituent des petits tableau de vie ... basés sur une seule situation: celle de la bergère aux prises avec quelque galant. Si ce galant est un berger, généralement l'entente est parfaite, ... Si c'est un seigneur ou un abitant de la ville, les résultats peuvent changer suivant les circonstances: tantôt, le séducteur sait trouver des raisons suffisantes pour décider la bergère à l'écouter; plus souvent encore la bergère résiste et se moque de l'importun.
A ce dernier groupe appartient une chanson dont il existe un nombre considérable de variantes dialectales, celle de la bergère contrefaisant la niaise et repondant en son patois aux belles paroles du citadin: plaisanterie renouvelée du moyen-âge, et qui obtient toujours le plus grand succès dans les milieux populaires.”
“la maggior parte costituisce dei piccoli quadretti di vita vissuta ... basati su una sola situazione: quella della pastora alle prese con qualche corteggiatore. Se il corteggiatore è un pastore, generalmente l'intesa è parfetta, ... Se è un signore o un forestiero, il risultato è mutevole secondo le circostanze: talvolta il seduttore sa trovare delle motivazioni sufficienti per convincere la pastora ad ascoltarlo, più spesso la pastora gli resiste e si prende gioco dell'importuno.
A questo ultimo gruppo appartiene una canzone di cui esiste un numero considerevole di varianti dialettali, quella della pastora che si finge sciocca e risponde nel suo dialetto alle belle parole del forestiero: scherzo che si rinnova dal medioevo, e che ottiene sempre il più gran successo negli ambienti popolari”
Julien Tiersot, Chansons populaires recueillies dans les Alpes francaises, Savoie et Dauphiné, Grenoble Moutiers, 1903 - traduzione di Gian Mario Navillod
Qui de nous n'a pas cru que cette amusante chanson connue sous le nom de Vêpres de Cogne fut une chanson réellement valdôtaine? Il n'en est rien. C'est tout simplement une traduction en patois valdôtain d'une vieille chanson mimique connue en Champagne et dans le centre de la France sous le nom de la noce de Jean Martineau
Chi di noi non ha creduto che questa divertente canzone conosciuta con il nome di I vespri di Cogne fosse una canzone realmente valdostana? Non lo è per nulla. È semplicemente una traduzione in patois valdostano di una vecchia canzone mimica conosciuta nello Champagne e nel centro della Francia con il nome di Jean Martineau
Favre Joseph-Siméon, Le Valdôtain 1890, citato in Bruno Salvadori, Voyage autour d'un artiste, Typo-offset Musumeci, Aosta 1972 traduzione di Gian Mario Navillod
Á part de très rares pièces, les unes en Français, les autres en patois, réellement locales, pour nous les noëls, les complaintes, les pastourelles, les chants de guerre, et toutes les autres compositions populaires nous viennent de la France. Nous avons eu sous les yeux de nombreux recueils de chants populaires appartenant à toutes les provinces de France, et nous y avons reconnu avec étonnement tous les chants populaires de la Valleé d'Aoste, sans oublier le plus insignifiants.
A parte alcuni pezzi molto rari, gli uni un francese, gli altri in patois, realmente locali, per noi i natali, le cantilene, le pastorali, i canti di guerra, e tutte le altre composizioni popolari ci arrivano dalla Francia. Abbiamo avuto sotto gli occhi numerose raccolte di canti popolari appartenenti a tutte le provincie di Francia, e vi abbiamo riconosciuto con stupore tutti i canti popolari della Valle d'Aosta, senza dimenticare i più insignificanti.
Favre Joseph-Siméon, Le Valdôtain 1890, citato in Bruno Salvadori, Voyage autour d'un artiste, Typo-offset Musumeci, Aosta 1972 traduzione di Gian Mario Navillod
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