Distanza progressiva | Tempo | Indicazioni | Lunghezza tratto |
0.000 km | 0h00 | Dall'uscita del raccordo autostradale per il Gran San Bernardo proseguire lungo la SS 27 | 19.500 km |
19.500 km | 0h20' | Alle spalle di Saint-Rhémy, dove la SS 27 viene chiusa nel periodo invernale, si lascia l'auto nel parcheggio sulla sinistra. | - |
Con una mezz'oretta di piacevole passeggiata a piedi si raggiunge la prima fortificazioni che avrebbe dovuto fermare i nemici scesi dal Gran San Bernardo. È del tipo 7000, costruita evidentemente con l'occhio volto più al risparmio che all'efficienza bellica.
Dal punto di vista architettonico è di modesto interesse, attenzione durante la visita a non cadere nel seminterrato.
Si lascia l'auto a pochi metri dallo sbarramento idroelettrico che si trova a monte di Saint-Rhémy, nella piazzetta a sinistra. Dal parcheggio se si guarda a monte della strada si intravede la sagoma dell'opera 2.
Per raggiungere l'opera 1 occorre proseguire lungo la statale 27 fino a raggiungere il ponte sul torrente del Gran San Bernardo.
Il silenzio è rotto di quando in quando dai veicoli che si dirigono verso il traforo, verso la testata della valle si vede l'ultimo viadotto che da accesso al tunnel, sulla destra, in alto si staglia contro l'azzurro del cielo il monte Pain de Sucre di 2900 metri di quota.
Si prosegue lungo la strada statale, il nastro d'asfalto è nascosto sotto la neve ma i muri e le scarpate permettono di individuare chiaramente il tracciato stadale.
La pendenza è modestra, abeti e larici coprono tutta questa parte del vallone e crescono fitti ai lati della carrozzabile. A pochi minuti dal tornante si vede in lontananza sulla destra la sagoma tozza del bunker; lo si raggiunge in fretta, sorge proprio a lato della statale, sul ciglio della scarpata.
Un modesto balcone conduce all'ingresso del blocco dove si trovano tre vani: due camere di tiro orientate verso la strada e la camera dalla quale si scende al piano inferiore. Qui si trova un piccolo locale ingombro di calcinacci con il soffitto parzialmente crollato, alcuni ferri ad U infissi nella parete formano una rugginosa scala di fortuna che ne permette l'accesso.
A poche decine di metri di distanza della fortificazione pricipale, poco più in basso, si intravede la sagoma tozza di un'altra piccola postazione; il vano d'entrata si divide in due locali, uno che opitava probabilmente una riservetta e la camera di tiro che batteva la parte opposta del vallone.
Si lascia questa fortificazione avendo ben chiaro in mente il pregio che avevano le fortificazioni tipo 7000 costruite tra il 1938 e il 1939: quello di costare poco.
Fino alla metà del 1800 le artiglierie erano ancora a canna liscia e ad avancarica, i cannoni più potenti riuscivano a sparare le palle a una distanza massima di quattro chilometri e la loro forza di penetrazione era di circa 3.60 metri nella terra.
Con la comparsa dei cannoni a canna rigata nel 1859, si modificò la forma dei proiettili che diventarono ogivali, raddoppiò la gittata e si introdusse il sistema a retrocarica che rendeva più veloce il tiro rendendo di colpo obsolete le vecchie fortezze.
Dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) i rapporti diplomatici con la Francia si raffreddarono alquanto e divenne urgente il rafforzamento delle difese della frontiera occidentale. La stipula della triplice alleanza tra Italia Germania e Austria nel 1882 accelerò ancor di più l'attività fortificatoria lungo la frontiera con la Francia. Quello stesso anno entrò in servizio il cannone 149 G che raggiungeva una gittata di otto chilometri con proiettili da 40 kg di peso.
Le fortificazioni si trasformarono; abbandonate le murature di pietre e mattoni, l'artiglieria si schierò all'aperto nelle batterie di protezione che erano caratterizzate da un terrapieno spesso dagli 8 ai 12 metri e nelle batterie semipermanenti, più piccole, che ospitavano non più di quattro pezzi. Le truppe alloggiavano nelle caserme difensive dotate di feritoie per i fucilieri, da utilizzarsi come punti di prima difesa.
Nel 1885 con l'invenzione delle granate torpedini, dei proiettili caricati con esplosivi ad alto potenziale, e del tiro a shrapnel, proiettili caricati a mitraglia che esplodevano a mezza'aria colpendo i serventi , le vecchie protezioni furono sostituite da batterie corazzate infossate nel terreno per ridurne la vulnerabilità.
Durante la prima guerra mondiale l'impiego dei mortai da 280 e da 420 mm mise in luce i limiti delle batterie corazzate che vennero sostituite dopo il 1931 dalle nuove fortificazioni ispirate a quelle della Linea Maginot: la fortezze erano scavate nella roccia da cui emergevano solo le postazioni di combattimento, i malloppi, che erano completamente rivestite di cemento armato e spesso blindate all'interno. Erano armate di mitragliatrici, cannoni anticarro o cannoni che raggiungevano i 10 km di gittata.
L'utilizzo della carica cava, usata dai tedeschi nella conquista della fortezza belga di Eben Emael, ebbe ragione anche di questo tipo di fortificazione. La carica cava è costruita in modo da dirigere tutta la potenza dell'esplosione in un unico punto e riesce così a forare anche la corazza più resistente. Nel 1940 con un peso di 12.5 o 50 kg tali ordigni riuscivano a perforare corazze di 12 o 25 centimetri di spessore. Nel 1942 venne messo a punto un particolare proiettile che riusciva a bucare quattro metri di cemento armato prima di esplodere.
All'avvicinarsi della seconda guerra mondiale la linea fortificata italiana, il vallo alpino, era ancora lungi dall'essere terminata. Nel 1938 si misero in cantiere le opere tipo 7000, che presero il nome dal numero della circolare che ne illustrava le caratteristiche. Erano piccole casematte che ospitavano un paio di mitragliatrici o raramente un cannone anticarro, le loro feritoie erano protette da una piastra metallica annegata nel calcestruzzo che a volte superava i due metri si spessore.
A queste si aggiunsero nel 1940 le opere tipo 15.000 che avrebbero dovuto essere ben più estese ed in grado di sostenere attacchi prolungati. All'entrata in guerra dell'Italia, nel giugno 1940, nessuna era ancora completata, i lavori proseguirono fino al 1942 quando vennero definitivamente abbandonati.
Con il trattato di pace del 1947 numerose opere vennero annesse alla Francia grazie alle rettifiche del confine, delle altre era prevista “La distruzione ... nel limite di 20 chilometri da qualsiasi punto della frontiera, quale è determinata dal presente Trattato” che doveva essere “completata entro un anno dall'entrata in vigore del Trattato”.
Secondo le ricerche di Marco Boglione questa opera tipo 7000, denominata opera 1 San Remigio, venne costruita alla fine del 1939 ed era armata con un pezzo anticarro.
Vano di tiro
Postazione inferiore
Luca Zavatta, Gran San Bernardo, Valpelline e conca del Fallère, L’Escursionista Editore, Rimini 2004
Marco Boglione, Le strade dei cannoni, Blu Edizioni, Peveragno 2003
Dario Gariglio e Mauro Minola, Le fortezze delle Alpi occidentali, ed. l'Arciere, 1994
L’Escursionista Editore – Carta dei sentieri 5 – scala 1:25.000
Istituto Geografico Centrale – Foglio 4 – scala 1:50000
PAGINA DEL 28.01.2008
Quest'opera di Gian Mario Navillod è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.