Questa canzone, il cui testo è stato scritto per la prima volta dall'Abbé Cerlogne, uno dei primi studiosi del dialetto valdostano, unisce ad una melodia allegra e vivace un testo particolarmente crudo che racconta di una moglie finalmente consolata dalla scomparsa prematura del marito.
L'atteggiamento cinico, quasi crudele con il quale la vedova si propone di andare a scucire la salma del marito per recuperare il lenzuolo funebre non deve essere giudicato con la sensibilità odierna. Oggi il malato è sostenuto nella sua sofferenza da una serie di garanzie sociali: la mutua, il medico di famiglia, l'ospedale gratuito. Ancora nella prima metà del 1900 si viveva in un'ecomonia agricola di autosussistenza ed i risparmi erano investiti nella terra. La malattia del coniuge poteva portare alla rovina l'intero nucleo famigliare perchè mancava all'improvviso la forza per lavorare la campagna, le spese mediche intaccavano il capitale, e vendendo la terra (o per non venderela) si era costretti, come lascia intuire la terza strofa, a cercare lavoro altrove. Di qui il sollievo della vedova per la fine delle sofferenze del coniuge.
Oggi per non guastare l'aria gioiosa di questa melodia è meglio interpretare il testo come una garbata presa in giro dei mariti fannulloni e malati di pigrizia che valgono talmente poco da non meritare il rispetto delle mogli neppure da defunti.
Nel formato OGG e MP3 la melodia è suonata da Gian Mario Navillod con un organetto diatonico.
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La fenna consolaye | La moglie consolata |
Dzi dei gran ten l'ommo malado (bis) |
Ho da lungo tempo il marito malato (bis) |
Pe lliu me fat euna polaille (bis) |
Per lui ho bisogno di una gallina |
Dze si partia a Pentecoute (bis) |
Sono partita a Pentecoste |
Quan si ëtaye
i pon de Douve (bis) |
Quando sono arrivata al ponte di Douve |
Me vint incontre ma veseuna (bis) |
Mi viene incontro la mia vicina |
Plaourade-lo maque vo-s-âtre
(bis) |
Piangetelo pure voialtri (bis) |
Dze plaoureriò pitou la rita (bis) (1) |
Piangerò piuttosto la canapa |
Dze penso d'allé lo decaoudre |
Penso di andarlo a scucire |
(1) "La piantavamo noi la canapa, e com'era matura la mettevamo a marcire nell'acqua non fredda. Poi battevamo la fascinetta per fiaccarla. Poi la bres-ciavu col pettine di ferro e ricavavamo la rista." tratto da: Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1977, pag. 84, testimonianza di Anna Lucia Giordanengo.
La trascrizione del testo di questa vecchia canzone popolare è stata fatta dall'Abbé J.B. Cerlogne
Il testo è tratto dal volume pubblicato nel 1957 VALDOTEN, TZANTEN! di Pignet Vuillermoz e Willien, Stamperia Musicale Fratelli Amprimo, Torino.
Traduzione italiana di Gian Mario Navillod
Il Signor Arnaldo Monavigili ha scritto per questa melodia tradizionale una breve parodia dal titolo La sala désolaye (PDF 86 KB) che parla di una casa da gioco. La pubblico declinando ogni responsabilità a riguardo. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti o esistiti è del tutto casuale.
Jean Domaine, Chantons encore, ed. Musumeci, Quart (AO) 1996
Pignet Vuillermoz e Willien, VALDOTEN, TZANTEN!, Stamperia Musicale Fratelli Amprimo, Torino 1957
AA.VV, Le messager Valdôtain 1926, Imprimerie Marguerettaz, Aoste 1925, pag. 34 (testo e melodia)
Voice union (Liliana Bertolo,
Evelyne Girardon, Sandra Kerr), Voice Union, ed. Fellside 1997
Trouveur valdotèn, Meusecca pe vivre, ed. Ambrokal 1984
PAGINE DEL 22.04.2006
ULTIMO AGGIORNAMENTO 29.06.2014
Quest'opera di Gian Mario Navillod è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.